Life is a laugh.


Words are flowing out like endless rain into a paper cup,
they slither while they pass, they slip away across the universe.

Thoughts meander like a restless wind inside a letter box,
they tumble blindly as they make their way across the universe.

In the depth of winter, I finally learned that there within me lay an invincible summer.

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martedì 7 giugno 2011

Ottantaquattro.

stupidità
Fortuna o sfurtuna, sempre di loro si tratta, qualsiasi sia l'argomento o la conversazione o il trattato alla fine si arriva sempre a lei - vox media per eccellenza.
La gemella buona e la gemella cattiva..
Allo stesso modo anche la genetetica: non va molto oltre la casistica, il calcolo di probabilità, studio delle possibilità eccetera eccetera.
Così i geni sono questione di fortuna, o di sfortuna sempre, e cosa ti è capitato non dipende da niente al di fuori di queste. Queste due stronze. Perchè alla fine solo stronze sono.

Enella grande abbondanza di cattive qualità di cui è fornito il mondo, dell'enorme quantità di difetti esistenti, a me, proprio questo!
Avrei potuto avere le gambe storte, le dita tozze, il naso a patata, le cosce grosse, i capelli grigi.
Avrei potuto essere timida, testarda, frivola, ordinata, meschina, ninfomane, obesa.
E invece no!
Stupida dovevo nascere!

sabato 16 aprile 2011

Ottantuno.

Tr.anslation Tr.ouble
In inglese c'è un tempo verbale, quella che noi chiamiamo la forma in -ing, che corrisponde grosso modo al nostro gerundio. Grosso modo!
Non è precissimo non per il significato che ha il gerundio, ma per l'uso che noi ne facciamo; il gerundio è il nostro "mentre".
Parlando ascolto la musica.
Mentre parlo ascolto la musica.

In inglese la forma in -ing ha un'immediatezza in più; l'azione non si sta svolgendo solo adesso nel senso di "nel frattempo", ma proprio in questo istante.
Ora.
E non tra un secondo, e non un secondo fa.
Adesso.

Così quando una cosa è complessa e confusa e intricata, loro dicono una cosa per cui li invidio tanto.
IT'S NOT MAKING ANY SENSE.
Che noi traduciamo con un banale "non ha senso"
ma non è proprio così.

Non sta avendo alcun senso.
NON STA AVENDO NESSUN SENSO!

venerdì 4 marzo 2011

Ottanta.

Provo una così vasta gamma di emozioni che fatico davvero a trovare nomi sufficenti, a collegare parole a sensazioni, a far combaciare tutti i pezzettini minuscoli che creano il gioco della mia mente.
Sono l'epicentro di un terremoto confuso (ordinato) che fa crollare castelli di carte e palazzi di vetro e mondi interi di quel lego con cui giocavo da bambina.
Sento emozioni che io stessa non riesco a sostenere, trattenere, controllare; cado, esplodo, rotolo giù.
E' tutto così più grande di me!
Non fa che invadermi la passione per ogni cosa; felicità, tristezza e rabbia sono tanto imponenti da strabordare, fuori dagli occhi, giù fino alla punta del naso arrossato dal freddo.
Travolta, spinta, deformata dai sentimenti; i ruoli s'invertono ed è lo stomaco a controllare il cervello, il corpo domina sulla mente - ma come posso evitarlo?
E' solo segno che sono viva..

giovedì 13 maggio 2010

Sessantadue.

(e la formula chimica del latte?)
C'è una puntata di Grey's Anatomy in cui loro due sono innamorati e adesso che vivono insieme lui è stravolto perchè lei russa terribilmente impededogli di addormentarsi.

Distunguere.
Il semplice dal banale, il liberty dal roccoccò, un muro da una linea, il dolore dalla paura, l'acido dalla base e dall'acqua. Anfitropica.
"Anfitropico" è un termine chimico che definisce quei liquidi che possono essere sia acidi sia basici.
Insomma, in una reazione questi possono essere acidi oppure no.
Tutto dipende dall'altro reagente.

Ecco, penso di essere una sostanza anfitropica.
Ero quasi sicura d'essere basica fino a poco tempo fa.
Ma alla fine tutto dipende dall'altro reagente.

E' sempre una questione di chimica.

E poi adoro la fine di quella puntata di Grey's Anatomy, dove lui arriva a casa e trova sul cuscino dei tappi di cera, se li infila nelle orecchie e sorride, e l'abbraccia mentre lei sta già dormendo, ed è così bello che vorrei esserci io lì.
(V-H2O)


domenica 29 novembre 2009

Quarantacinque.

You know the movie song.
Albero di natale comprato. Che fretta.
Al supermercato c'era una signora con l'aria sperdutissima. Non camminava con passo deciso alla ricerca del detersivo, nè osservava con attenzione ogni scaffale per cercare i biscotti giusti. Più che fare la spesa sembrava stessa vagando senza meta.

Ho portato del cibo e un po' di supporto a chi faceva volontariato sotto la pioggia, al freddo. Cioccolato, cioccolato, cioccolato. Torroncini, mela, panino.
Ho fatto una torta di mele che è venuta buonissima. O almeno credo, dato che io non l'ho assaggiata. Spero che fosse buona sul serio.

Ho comprato dei guanti di pelle arancioni e devo procurarmi un accoratore.
Questo post è privo di funzionalità.

Stavo pensando al fatto che devo riprendere a scattare foto, come dicevo anche qualche tempo fa.
Mi sono venute in mente un sacco di cose, una sorta di fiume di lettere in piena.
Ho pensato, tra il resto, che la fotografia è una cosa stupenda ma che non può essere il mezzo adatto per cogliere la maggior parte degli aspetti della mia vita attuale.
Intendo dire che forse c'è un motivo per cui ultimamente non ho voglia di fotografare cose o persone.
E' che piove.
Sembra stupido, suppongo di sì, ma se dovessi pensare a qualcosa che rappresenti questi miei giorni, mi verrebbero in mente la sensazione della piogga sulla fronte, le note lunghe e sovrapposte del pianoforte suonato con il pedale, il sapore amaro dell'anestesia per l'estrazione del dente, l'odore di casa di James e di Armando. O forse la familiarità del suo stesso collo, il fumo negli occhi, la paura, Romeo and Juliet dei Dire Straits, il calore istantaneo del caffè che scorre veloce attraverso la bocca, giù nella gola.
Non so.

Sono così sconclusionata, a volte.


[Halloween 2009]

mercoledì 4 novembre 2009

Quarantuno.

What the hell's your name?
What's your pleasure and what is your pain?
Do you dream too much?
E se davvero alcuni spiriti restassero legati al proprio corpo morto?
Nell'aula di scienze c'è uno scheletro umano in una teca di vetro ben sigillata; uno scheletro vero, uno scheletro che è stato vivo. Ho chiesto alla professoressa di chimica e biologia; dice che non si sa chi fosse o che origini avesse, non ne conosciamo il sesso nè tanto meno l'aspetto. E' solo lì rinchiuso nella sua immobile posizione verticale.
Manca il dente davanti superiore, quello sinistro; è l'unico dettaglio non a posto, l'unica cosa non perfetta; le ossa sono integre e senza un graffio.
Solo qualche volta ne vedo l'anima; una donna disperata con gli occhi spalancati e lo sguardo di terrore. E' quasi trasparente, quando la guardo riesco a indovinare lo scheletro dietro di lei, la attraverso con lo sguardo come il vetro della sua stessa minuscola stanza.
E' incatenata a quello che era il suo corpo, le sue ossa; è imprigionata nella teca di vetro con lui. Mi uccide con i suoi occhi disperati, batte contro il vetro della sua galera silenziosamente e senza che nessuno la noti. Urla senza voce, colpisce il vetro senza suono; per quanto sia visibile, è chiaramente intangibile, inconsistente. Ma è poi visibile? Perchè nessuno fa niente per liberarla? La vedono, loro? La vedete? Sono solo io?
La catena ed il lucchetto che tengono chiusa la sua colonna di vetro e legno non si muovono nè vibrano ai suoi colpi disperati. Niente e nessuno si accorge della sua inquietudine.
I neri capelli spettinati, il dente che manca sotto le labbra rosse. La pelle candida con le gote rosee. Non è vecchia.
Il solito sguardo sconvolto: cosa le sta succedendo? Perchè non la lasciano fuggire? Così è appiccicata ad un corpo che probabilmente sapeva usare, che addobbava ogni mattina e spogliava ogni sera, che mostrava a chi ne era degno. Chiuso in quattro piccole pareti perchè qualche liceale possa vedere un esempio di ossatura umana.
Anche se potrebbe essere il contrario. Potrebbe essere quello spirito il vero prigioniero.
Il corpo, quel che la decomposizione non ha distrutto, può in realtà essere un mezzo, un modo per tenere ferma la donna.
Quale rabbia implacabile si può nascondore dietro occhi terrorizzati e capelli in disordine!
La guardo ancora; cerco di leggerla ma mi è impossibile, è un'anima dannata. Chi, o cosa, mente meglio di una donna preda della disperazione?
Improvvisamente mi pare cattiva; non provo più alcuna compassione ora che, osservandola, prendo in considerazione la possibilità di uno spirito rabbioso e bugiardo, la sua ipotetica vendetta. Perchè potrebbe essere arrabbiata?
La prima cosa che mi viene in mente è un figlio.
Forse un marito, o un amore di qualsiasi genere. E' così triste..

Chi sei? Ti vedo davvero solo io? Mi percepisci? Come ti chiami?

Si volta, mi osserva, mi penetra con i suoi occhi di ghiaccio; un barlume le illumina per un istante l'espressione spenta.
L'ennesimo urlo silenzioso prima di accasciarsi a terra, alla base del piedistallo nero su cui si erge la sua morta figura.

"Aiutami. Aiutami."



lunedì 19 ottobre 2009

Trentotto.

I don't feel like writing.
..E' come essere in alto mare.
In qualche modo ci sei arrivato, no? Come? Su di un materassino.
Hai viaggiato su di un materassino gonfiabile.
Hai pure faticato, per trovarti ora in alto mare.
Proprio come quando sei sopra a questo dannatissimo materassino, e ti buttano giù, in acqua.
Un secondo prima eri asciutto, eri calmo, con il calore del sole sulle spalle. Un secondo dopo sei nell'acqua salata, il freddo ti rincoglionisce e non capisci più un cazzo. E tutto quello che fai è cercare quello stupido materassino: unica possibilità di salvezza. Lo trovi. Lo trovi e ti ci attacchi morbosamente, non lo molli più, lo abbracci.
La tua vita in mano ad un materassino gonfiabile. E' così, no?
Lo stupore della scoperta di una brutta notizia, trovarsi improvvisamente nel luogo dove si voleva arrivare per accorgersi che non è come lo immaginavi.
Volevi la libertà, l'acqua sotto di te a cullarti ed il sole sopra a riscaldarti. E invece, dove sei?
In alto mare. Delusa, bagnata, salata. Sali ancora sul tuo materassino con una sola domanda in testa. La solita.
Perchè?
Perchè le mie aspettative sono state deluse?
Perchè niente è andato come doveva?
Perchè sono venuta fin qui?
Perchè ho faticato per arrivare qui, e ora sono solo più triste di prima?
Questa è la libertà?
La libertà tanto agognata nei tempi passati, tanto rivendicata tutt'oggi?
Perchè fai sempre lo stesso errore. Non confondere solitudine con libertà.
E ora? Cosa sei? Solo, o libero? Forse tutt'e due.
Ma si può essere liberi, quando si è soli?
Libero di cosa?
Libero di fare quello che vuoi. All'interno del tuo stupido materassino.
Libero di pensare quel che vuoi. Di esporre i tuoi pensieri. Ma a chi? Al mare?
L'oceano, che ti ha sempre affascinato così tanto, improvvisamente diventa il guardiano della tua stessa prigione. Pensavi di essere libero. Sei ancora incatenato. Solo che, adesso, sei anche solo.
Cosa ci hai guadagnato? Si dice che dagli errori s'impara.
Io, da questo viaggio, ho imparato solo che le mie aspettative sono sempre troppo alte.
E, come al solito, l'ho capito troppo tardi.
L'ho capito adesso, che sono in alto mare.



PS.
Questa cosa, che, come al solito, non so come chiamare o definire, è stata scritta in realtà nel mio Aprile 2008. Ho deciso di pubblicarla qua perchè mi era tornata in mente parlando di tutt'altro con un mio amico. E basta.

giovedì 8 ottobre 2009

Il vero post numero Trentasei.

So what?
Venivo da dietro e andavo verso davanti.
Una donna faceva lo stesso ma nel senso opposto. Ci siamo incrociate, sullo stesso marciapiede, e lei avvicinandosi mi guardava. Era incinta, un bel po’ incinta - oserei dire, e, avanzando, si accarezzava il pancione rotondo. E mi guardava.
Ho pensato che io in fondo ho 16 anni. E 16 anni vuol dire avere davanti tutta la propria vita. Una vita. Un’intera vita: ho una vita e posso farci quello che voglio. Vuol dire non sapere cosa ne sarà di me. Così succede che immagino il mio futuro; ma non me lo creo dal nulla, perchè non nei sarei capace. Se io creassi il mio futuro immaginandolo lo farei basandomi sulla mia persona. Ma nella crescita è proprio questa che cambia per prima, togliendomi dunque la base sulla quale posso immaginare. Per questo è impensabile il mio futuro. Su qualcosa mi devo basare, non posso crearmi un’idea senza una base. Così lascio spesso perdere questo discorso e semplicemente mi guardo intorno, e vedo cose, vedo persone. Vedo persone adulte e penso “mi immagino così da grande!”, o anche “giuro che non sarò mai così”. In questo modo ho preso molte decisioni importanti sulla mia vita. Mi sono ripromessa che non ingrasserò mai all’estremo del possibile, che non mi tingerò i capelli di blu dopo i 50 anni, e che non avrò i suddetti capelli lunghi e sciolti quando saranno consumati dal tempo, che verso i quarant’anni non metterò il rossetto con anche la matita attorno alle labbra perché fa puttana economica. Ad esempio, vedendo la mia prof di matematica ho deciso che non metterò mai un vestitino aderente come quello che aveva addosso l’altro giorno se mi accorgerò di avere la pancia, le tette cadenti e il sedere piatto con mutande di pizzo in trasparenza. Mi pare una saggia decisione, e non da poco.
Così quando cammino per strada osservo tutte le donne che vedo in giro e commento. Non giudico, attenzione: non insulto né nulla di simile (la prof di matematica è un caso particolare); semplicemente decido se voglio essere così o meno. In fondo è facile vestire un corpo giovane e pimpante; tra l’altro il mio non mi dà gravi problemi.
Ma quando cadrò a pezzi? Ogni età ha una sua bellezza, non ce n’è una brutta, ovviamente, ma bisogna capire come non cadere nel ridicolo. E’ difficile. Così squadro persone che non conosco e penso “sì”, “no”, “sì”, “no”, “sì“, “no“.
Ho pensato che la signora incinta che ho incrociato pensasse qualcosa di affine, accarezzandosi il pancione.
Voglio che mia figlia diventi così? Va bene così? La lascerò vestire così? Potrà camminare a testa alta con le cuffie nelle orecchie e passo deciso?
Forse una futura mamma ragiona come me. In fondo, come io vedo per il mio futuro un grosso punto di domanda, lei vede in ogni ragazza, o ragazzo, un possibile futuro per il quasi nato. Forse.
E forse anche lei vedendo in giro i soliti adolescenti pensa “sì”, “no”, “sì”, “no”.
Mi sono per un momento chiesta cosa si sia risposta, guardandomi, quella signora. Sono da sì o sono da no?
Sì, no, sì, no, sì, No.
Chissà se poi anche lei, alla fine della giornata, guardando l’ultimo passante appena prima di rientrare definitivamente in casa, smette di scegliere tra il positivo e il negativo, per tornare al solito “chissà” di partenza, sempre senza risposta, sempre senza soluzione.



martedì 29 settembre 2009

Trentatrè.

Autobus.
Eravamo spesso insieme.
Il fatto che non lo fossimo sempre non conta; talvolta mi capita di creare legami più stretti con persone che vedo poco, piuttosto che con la mia compagna di banco. Succede perché l’affetto non è questione di tempo, il cameratismo e l’amicizia vanno spesso insieme ma non necessariamente.
Non era in classe con me, e a scuola non ci vedevamo quasi mai.. Tuttavia ci trovavamo ogni giorno sull’autobus, e il tratto di strada da fare sedute lì sopra era lungo per entrambe.
Le chiacchierate, quante parole, quanto tempo passato seduto l’una affianco all’altra!
Si era instaurato un rapporto curioso, avevamo un nostro linguaggio per intenderci meglio, meglio che con gli altri.
Ricordo che quando l’una chiedeva all’altra quanto mancasse alla fermata di arrivo c’era sempre un’incomprensione nella risposta. “Alla terza.” “Ma.. Contando questa? E contando quella giusta?”. Così ci eravamo semplicemente accordate: parliamo come si fa con i giorni. Se io dico oggi significa che dobbiamo scendere alla fermata più immediata, quella in corso; se dico domani è quella dopo, e via discorrendo. Così ci capivamo al volo, mentre i compagni di viaggio occasionali ci guardavano di traverso.
Non so per quale motivo lei cambiò città; so solo che mi trovai persa.
E’ buffo a sentirsi, lo immagino, ma all’intervallo la vedevo in cortile, sempre; e all’improvviso non la vidi più. E i viaggi in autobus da sola? Come? Perché? Però andai avanti, per forza, logicamente.
Fu solo dopo un po’ che mi accorsi di un’altra ragazza che prendeva l’autobus un po’ dopo di me, ma scendeva alla mia fermata. Veniva alla mia scuola, non l’avevo mai vista perché era nuova, aveva un anno meno di me. Una quartina. Una quartina.. Era gentile.
Non feci più viaggi da sola. Mi sono sentita di nuovo a casa e, non voglio essere cattiva, ma - sul serio - era tornato tutto come prima.
Una volta la invitai a casa mia per il pomeriggio, quindi fece il tragitto intero con me. Chiaramente non sapeva dove io abitassi; “Tra quante fermate dobbiamo scendere?” “Dopodomani” risposi io, sicura e disinvolta. Era tutto come prima.
Distolsi un attimo lo sguardo dal finestrino, stupita del silenzio calato all‘improvviso.
Mi guardava anche lei, incuriosita..“Come hai detto, scusa?”

venerdì 18 settembre 2009

Trenta.

Post-it.
Buon giorno, bellezza.
Hai dormito bene questa notte?
Scusa per l'orario, ma sai che amo scrivere con affianco il sole che sorge; con lui mi si sveglia il cervello, e anche qualche idea, talvolta.
Volevo solo ricordarti che ti amo.

Ci tenevo a ricordartelo perchè in questi giorni l'Angie è triste; oggi pomeriggio - in un patetico(*) tentativo di liberazione - si è ubriacata, ed è stata piuttosto male. Mi mette molta malinconia e mi ricorda che tutto ciò che comincia finisce, che in fondo abbiamo solo questi stupidi sedici anni, che nulla è veramente importante e blablabla, tutte quelle cose lì, insomma.
Quindi volevo ricordartelo.

Inoltre ho pensato che io per Bob non l'avrei mai fatto, e che io e Angie siamo proprio diverse. Quando mi sono vista Bob scappare.. A me è successo più volte, come sai. La seconda volta ho pianto per tre giorni, poi mi sono detta "Basta, così non funziona"; ho preso in mano la situazione e così tutta la mia vita, ho deciso che lo rivolevo, e me lo sono ripreso. Ci è voluto del tempo, ma ci vuole sempre del tempo - sai che sono una tranquilla e paziente, sempre - e infine ho ottenuto quello che volevo. La terza (e ultima) volta che mi sono trovata nella stessa situazione ho pianto per 3 giorni ancora per poi ripetermi "Basta, così non funziona"; ho preso in mano la mia mente e quelle inutili lacrime, ho deciso che non lo rivolevo. Con camla e con tempo, ho imparato dai miei errori. Nel giro di un mese stavo con un altro, e questo è stato il mio patetico(*) tentativo di liberazione. Una storia insignificante: pensavo a Bob, ancora, però è stato un tentativo. Ci ho provato, a dimenticarlo; scambiando un fugace sprizzo di vita con l'inizio di una passione, e pensando, alla fine, ancora a lui. Ma, vedi, sempre meno.
Finchè non sei arrivato tu, e quando sei venuto a predermi quel lunedì, una sorpresa in bicicletta, me l'hai cancellato dalla mente.

Sai cosa significa questo?
Che la mia Angie è debole, perchè oggi pomeriggio per combattere la tristezza ha bevuto, e io non l'avrei fatto - per orgoglio o forse per preconcetti stupidi.
E vuol dire anche che la nostra Angie ha bisogno del suo Jude.
Però, vedi, deve capitare. E noi lo aspetteremo.

Sai, volevo solo ricordarti che ti amo.



P.S.
La foto soprastante non è stata scattata da me, nè sono io il soggetto. L'ha fatta un mio amico, e mi piace un casino. Spero non sia troppo fuori luogo..

(*) è solo una precisazione. Può sembrare inutile a molti, ma ci tengo particolarmente: la parola patetico può essere mal interpretata. Con patetico non intendo ridicolo nè superfluo; intendo l'aggettivo nel suo significato primo, nella sua derivazione dal greco "pathos" (da brava classicista). Non intendo dunque qualcosa di offensivo quanto emozionale e quasi disperato.

lunedì 20 luglio 2009

Ventitrè.

Frammenti.

Ero in coda per sciacquarmi dal sale dopo un bangno nel mio adorato Mar Ligure, e davanti a me c'era un gruppo di bambini. Non erano, ovviamente, in coda in modo ordinato, però stranamente c'era silenzio. Non parlavano nè giocavano, mi sono stupita. Ad un certo punto un bambino si gira verso la piccola dietro di lui, lei era tenerissima, con gli occhi grandi e i boccoli biondi bagnati. Il bambino la guardava e dopo qualche secondo le ha detto, tendendole la mano "Ali, facciamo la pace?" e la piccola - suppongo si chiamasse Alice - ha spostato la mando del bimbo per poi abbracciarlo, e allora un'altra bambina che era più avanti si è girata e ha urlato "fai la pace anche con me!" e Alice ha abbracciato anche lei, e poi così tutti gli altri bambini, e alla fine la piccola bionda - che inizialmente era in fondo, imbronciata - ad un tratto teneva per mano due amici e giocava con gli altri.

Sono andata, l'altra sera, a prendere la macchina con mio padre - l'aveva parcheggiata lontano. Io dovevo buttare il vetro, e avevo in mano un sacchetto con dentro i barattoli e le bottiglie da buttare. Ad un certo punto è arrivato un gattino, ha fatto un giro attorno a me, correndo, e poi è venuto ad annusare il contenuto del sacchetto. Era bellissimo, piccolino, e anche piuttosto magro. Doveva avere molta fame.. Era bellissimo, gli avrei dato tutto il cibo del mondo, se solo avessi avuto qualcosa con me. Invece avevo solo i vetri vuoti, e mi sento in colpa ancora adesso. Era bellissimo, non mi mollava più, mi ha seguita fino alla macchina. Era bellissimo.

Vicino alla mia casetta lì al mare c'è una piccola chiesa, la chiesa di San Giorgio. C'è il campanaro di questa che si diverte un mondo a suonare le campane, o almeno credo, perchè ogni tanto fa praticamente dei concerti, quando suona. Ieri era San Giorgio, e invece di suonare i banali rintocchi delle 9.30 per la messa, ha suonato per più di venti minuti alcune canzoncine e qualche brano. Quando lo sento fare queste cose rido, perchè è come me quando ho in mano il mio basso, suonicchio a caso, non importa cosa, l'importante è suonare. E chi ha voglia di ascoltare basta che tenda l'orecchio. Ha suonato Fra Martino, e poi la sua preferita: London Bridge Has Fallen Down. La suona spessissimo, per questo credo che sia la sua preferita. Mi ha fatto ridere, però dopo mezz'ora di scampanate mi ero bella che rotta le palle, oltre che i timpani.

C'è una bambina che ha l'ombrellone vicino al mio in spiaggia. La trovo abbastanza brutta, quasi orribile oserei dire, e ha una faccia da stronza tremenda. Però mi devo ricredere, come al solito ho sbagliato (mai giudicare il libro dalla copertina, dicevano?). Ero su di un marciapiedi strettissimo, seduta per terra ad aspettare che arrivassero i miei nonni ad aprirmi perchè come al solito avevo dimenticato le chiavi di casa. Arriva questa bimbetta, io mi sposto per farla passare. Lei passa, e dopo essere passata si ferma per qualche secondo, guardandomi con gli occhioni dei bambini piccoli, con il mento all'insù per potermi vedere, mi dice "grazie!" poi sorride e se ne va trotterellando. Continua ad essere brutta, ma adesso mi appare tenera.



lunedì 29 giugno 2009

Ventuno.

Something.
E’ sempre lì.
Cioè, non sempre, spesso. E’ spesso lì. Lì.. qui.
Insomma, c’è una donna seduta sul gradino davanti alla banca sotto casa mia. E piange. La vedo di frequente uscendo di casa verso le 6 o le 7 di sera. Pensandoci, l’orario varia. L’unica cosa che è sempre uguale - non sempre, spesso, cioè, di frequente, insomma: quando vedo la donna - è il tramonto. Dunque, cambia a seconda della stagione, come fa il tramonto, l’orario di Miss Pianto. Con il motorino, uno scooter scuro, si siede sul gradino e piange, senza neanche togliersi il casco, piange disperatamente.
Secondo me ha avuto un incidente proprio qui, qui sotto. Ma lei non si è fatta male. E’ semplicemente accaduto che il motorino è scivolato e la signora è caduta. Ma Miss Pianto non era da sola: lei era dietro e abbracciava amorevolmente il guidatore. Il rapporto tra la donna e colui che guidava era stretto; molto stretto, troppo. Lei era sposata con un uomo ben piazzato - come si suol dire - un uomo maturo e responsabile. Erano sposati da anni, e lui aveva un buon posto di lavoro, tale che lei potesse non lavorare, dedicandosi solo a ciò che amava. Verosimilmente il marito era tranquillizzato da questa affermazione della moglie. “Cosa farai oggi cara?” “Non so, mi dedicherò a ciò che amo, mi rilasserò, mi divertirò e ti preparerò una cena squisita!”. In effetti la cena squisita c’era, quando il marito tornava a casa. Così lui si era convinto - da solo - che la passione della moglie fosse la cucina. In realtà la passione della donna era un uomo, quello che guidava il motorino. Il motorino lo usava sempre Miss Pianto, ma era intestato al suo sposo, che in casa gestiva tutto il materiale legale e finanziario. Dunque il motorino scivolò, e la coppia illegittima finì sulla strada, in mezzo alla carreggiata. Il traffico incasinato delle 7 di sera non fece in tempo a fermarsi, e un camion investì il guidatore. Lei ne uscì immune, invece. E al dolore di questa donna, soffocato per presenza del marito, si aggiunse l’obbligo di inventare un giustificazione, e in fretta, per la presenza dell’uomo sul motorino. Dopo aver creato insulse scuse, nascose nel silenzio la sua sofferenza, per non insospettire il marito. Ma smise di cucinare. E così, ogni sera, al tramonto, non avendo nulla da fare e rifiutandosi di cucinare l‘usuale cenetta squisita, di nascosto dallo sposo viene qui, sul luogo dell’incidente, e piange l’amato, sfogando tra le lacrime la sua ira e la sua sfortuna, senza togliere il casco perché le salvò la vita, e guardando il motorino su cui non molto tempo prima sedeva l’amore.
Non so dirvi cosa di questa storia sia vero. Anzi, so diverlo, in realtà. Niente di tutto questo è reale. Nulla.
Questa è la mia fantasia, la mia mente che vola, il mio cervello che lavora troppo su donne che piangono, sul gradino davanti alla banca, sotto casa mia.



venerdì 26 giugno 2009

Venti.

Dialogo surreale.
(pensato qualche tempo fa)
▫ Ore?
▪ 12.32
▫ Mi pensi mai?
▪ Chi?
▫ Tu. Tu, mi pensi?
▪ Chi? Io?
▫ Tu?
▪ Io penso a chi?
▫ Non lo so, dovresti dirmelo tu. A chi pensi?
▪ E tu?
▫ A te.
▪ A te?
▫ A me?
▪ No. A te.
▫ A me?
▪ Sì, a te.
▫ Ma..
▪ Quanto tempo è passato?
▫ Da quando?
▪ Dagli ultimi sospiri?
▫ Il 20 febbraio, no?
▪ Sì.
▫ Oggi che giorno è?
▪ Oggi?
▫ Sì, oggi.
▪ Oggi è il giorno dopo ieri, il giorno prima di domani.
▫ Ma la data?
▪ Cosa importa?
▫ 20 Maggio. 3 mesi.
▪ Quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi.
▪ Sì, ma quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi, ho detto. 3 mesi.
▪ Sì ma non è sempre uguale. Alcuni giorni scivolano, altri scappano, altri ancora arrivano e basta.
▫ Dunque? Quanto tempo credi che sia passato in questi 3 mesi?
▪ Direi una vita.
▫ Una vita?
▪ La vita di questi 3 mesi.
▫ Non capisco.
▪ Non capisci. Tu guardi le date.
▫ E allora?
▪ Guardi l'orologio.
▫ Tu no?
▪ Il tempo non scorre sull'orologio.
▫ ...
▪ Ti scorre addosso. Capisci?
▫ Forse.
▪ Quanto ci hai messo a capire?
▫ Non so. Che ore sono adesso?
▪ E cosa importa questo?
▫ Mhm.
▪ Quanto tempo ci hai messo a capire.
▫ Ore.
▪ Ore.
▫ No, vero? Saranno passati 5 minuti.
▪ Se tu le senti ore sono ore.
▫ Ma che ore sono, adesso?
▪ 12.45.
▫ Vedi che se non ho l'orologio, sbaglio?
▪ Non è vero che sbagli. Chi è nel giusto? Tu o l'orologio?
▫ Ma l'orologio è meccanico, non può sbagliare, non può illudersi.
▪ Credi più all'orologio che a te stesso.
▫ Sono solo 13 minuti passati lentamente.
▪ Per te sono ore. Sono passati 13 minuti e tu hai vissuto delle ore. Sbaglio?
▫ No.
▪ Allora hai capito.
▫ Sono passati 13 minuti ma io ho vissuto delle ore?
▪ No?
▫ Bel risparmio.




mercoledì 3 giugno 2009

Diciassette.

Si vive di ricordi, signori, e di giochi!
Giochi e ricordi, giochi e ricordi, giochi e ricordi.
Qual è tra le due cose la più seria? Di cosa parlate, voi, quando parlate al passato, quando dite “noi”? Parlate di giochi, o di ricordi? Ricordi? Siete sicuro di voler ricordare? Mio adorato Mario Jemenez, mi avete avuta come nella mia vita nessuno mi ha mai avuta. Nessuno, e mai. Ma c’era qualcosa nel vostro dichiararvi mio che sapeva di amaro, pur profumando di viola, pur essendo in un certo qual modo sincero. Sincero? Qualche parola ripetuta all’infinito, qualche parola che mi fece poi ridere nella disperazione, qualche parola che se riletta adesso fa ancora tremare - nonostante il tempo che scorre implacabile e mai stanco, nonostante le esperienze che si susseguono senza pausa, nonostante la vita che continua.
Sempre.
Mai.
Dove il sempre intende un infinito relativo alla durata, un infinito dall’inizio alla fine, un infinito con una fine effettiva, un sempre per modo di dire; e il mai, allo stesso modo, si riferisce a quel tempo, a quel tempo ben determinato, a quei giorni scappati. Mai e sempre sono passati, sono finiti, sono arrivati. E giunti al termine di questa storia, che è stata e tutti si comportano come se non fosse, che è passata e allo stesso tempo No. Che è finita come è finita, che è finita perché è finita, che è finita quando è finita, che è finita se è finita, che è finita per volere di qualcuno che, allora, se non sono io e non siete voi, non ho mai conosciuto nè ho mai veduto. Ma adoro ricordare, e voi sapete che sono una nostalgica; adoro ricordare senza malinconia, adoro ricordare con sorrisi e risate, e non pensare a come sono stata male dopo, ma pensare a come stavo bene in quel momento. In quel che momento che ricordo.
Ricordo, ad esempio, che una volta mi accompagnaste a casa. Forse voi avete dimenticato - al contrario di me, voi adorate scordare - ma era sul finire della primavera, mentre l’estate si avvicinava vertiginosamente, una mostro avanzante. Più o meno come oggi; sì, un giorno come oggi. Mi accompagnaste a casa, dicevo, e mi diceste, tra labbra e sorrisi, che mi amavate, e lo diceste ripetendo il mio nome, lo diceste sussurrandolo, così che nessuno potesse rubarvi quelle parole, e neanche il vento, né le stelle invidiose le sentirono, furono solo mie, in quel momento furono solo per me. Non so se lo diceste con leggerezza o se foste serio, ma mi piace pensare che mi amaste davvero e profondamente, amo sognare cosa sarebbe stato, come sarebbe stato, cosa sarebbe adesso ciò che non è e non sarà. Non so se poi l’amaro che sentii sulla punta della vostra lingua fosse il sapore che fumo e alcol lasciano sulla vita, o se magari fosse qualcosa di più grave - un tocco di falsità poggiato sul rosso caldo.
Ricordate quando perdevate il controllo di voi stessi, quando non riuscivate più a fermarvi? Qualche volta rimaneste travolti anche voi, inutile nasconderlo ancora. O quando ancora non ci si esprimeva, ricordate che buffo? Ora come ora mi fa sorridere il pensiero di quei giorni in cui non si era nascosti ma neanche mostrati. Quella sera in cui mi suonaste nel caos, ma io sentii lo stesso il vibrare delle corde e le note della vostra voce, nonostante i rumori chiassosi dietro di noi. La stessa sera in cui vi dichiaraste, ricordate? Mi sembra ieri, a ripensarci. Di fatto, tutto questo è lungi da queste mie parole, e forse sarebbe ora di salutarsi una volta per tutte. Come quando vi chiesi un ultimo bacio; ricordo anche questo! Non so se presa dalla disperazione di non sentirvi più o semplicemente desiderosa di un ultimo schiocco, vi chiesi di baciarmi ancora una volta - quando mai mi venne in mente una simile proposta, con le lacrime che mi offuscavano più la mente che gli occhi!
Suvvia, non parlerò oltre, lo prometto. Ma, mio signore, io odio gli addii, e voi lo sapete bene - se mi conoscete ancora come mi conosceste.
Io vi ricorderò perché amo ricordare, amo i ricordi e li ho sempre amati, ho amato voi e così sempre vi ricorderò. Se voi preferite dimenticare, come so che è, cercherò di impedirvelo, con tutte le mie forze, con tutto ciò che posso. Non posso molto, è vero, ma adopererò tutto ciò che è in mano mia per farvi ricordare, per rendermi indelebile ai vostri occhi di cielo.
Le parole impresse sulla rocca del tempo con il mio sguardo - e con la vostra penna, mio amore - sono svanite come se la roccia si fosse sgretolata, diventando un’inutile mucchio di granelli di sabbia; spiaggia baciata dal mare, come solo l’amore può fare. Questo è finito, come sempre finisce tutto, questo tempo è scappato e voi ora scomparirete, forse per sempre, a questi occhi di foglia matura.
Fate come desiderate, come avete sempre agito: fate quel che vi sentite. E magari prima o poi capirò le vostre parole intricate, i vostri brindisi complicati alla salute di non so chi.
Vi saluto, io che in quel tempo fui per sempre vostra, ma spero che ci incontreremo ancora, in una qualche stazione, o sulla riva di un qualche fiume.
Beatriz



sabato 21 marzo 2009

Quattordici.

Io c'ero.
Data memorabile. Ventùn Marzo Duemilaenove.

martedì 17 marzo 2009

Tredici.

Questa fu una delle sue avventure, un'altra da narrare,
a qualcun altro, chissà dove, chissà quando.

C'era una volta un principe. E... sì, c'era anche una principessa.
Questo principe era scappato dal suo regno, dunque in realtà non si può chiamare principe. Era un cavaliere solitario; senza casa e senza vergogna, vagava per il mondo. Non aveva bisogno di scudieri o schiavi, se l'era sempre cavata da solo, con le proprie mani. La sua spada e il suo intelletto, questo aveva e tanto bastava. Non aveva mai sentito la mancanza di nessuno, non aveva mai provato nostalgia o dolore; forse un po' di rabbia, qualche volta.
Semplicemente incapace di avere a che fare con la gente, incapace di provare sentimenti frivoli e leggeri: quale tra le emozioni più dolci può esser definita utile per un guerriero? Senza aver avuto donne, non ha mai sentito la necessità di trovarne o cercarne una; nessun impegno avrebbe potuto fermarlo. Troppo difficile e rischiosa, la sua vita, per esser condivisa con una dama.
Come il vento,
lui non possedeva nulla: forte e potente, arriva e se ne va. Sposa oggetti e distrugge - oppure aiuta qualche marinaio, dipende dal suo umore.
Così faceva il principe:
veloce e fugace, solo con il suo cavallo e la sua arma, vagava di reame in reame, in questa terra del nulla.
Ma c'era una principessa - l'avevo forse già accennato?
In un regno, c'era una principessina.
Sposata felicemente con il suo amato, per ora tutto andava bene: nobili normali, secondo i soliti canoni. Venivano da due rispettabili e felici famiglie; lei, figlia del re e della regina, lui di aristocratici della zona.
La principessa adorava la natura, con i suoi colori e i suoi profumi: lei stessa sapeva di fiori di campo. Una volta, tanto tempo fa, era nel bosco a respirare e assaporare il canto degli uccelli, felice e ridente, e una folata di aria fresca le scompigliò i capelli, legati con dei nastri, e la veste regale. Insieme alla brezza, era giunto uno straniero, su di un cavallo nero pece e con un'espressione seria in volto. Il cavaliere vide la giovane donna e si fermò ad osservarla divertito, nascosto dagli alberi. La principessa non lo notò subitaneamente, e quando lo vide da vicino ne restò affascinata. Ma lui.. Lui ne aveva viste tante di fanciulle, e molte tra queste erano decisamente più belle della ragazzina che ora si trovava davanti e guardava con occhi attenti. Ma c'era qualcosa, in quella bambina cresciuta, che lo attirava e lo ammaliava particolarmente.
Forse la spensieratezza, forse la bontà.
Un breve dialogo, privo di presentazioni, e il giovane scese dal suo cavallo per sedersi sull'erba, affianco ai boccoli scuri della solare piccola donna. Le mostrò la sua chitarra, raccontò le sue avventure, la sua storia. Lei lo ascoltò con partecipazione e mente aperta, senza giudicare niente e nessuno. Ma si fece subito sera, e al tramonto la donnina dovette tornare alla sua dimora. Il cavaliere la salutò con eleganza e la guardò correre via.. E’ chiaro, tuttavia, che si rivedranno.
Passò del tempo, e la principessa si accorse sempre più dell'assenza del marito. C'era ma non c'era, e il tutto andava avanti per inerzia e apparenza ai sudditi. Semplicemente, non aveva mai avuto ragione di interrompere il matrimonio.
Inoltre, ascoltando le avventure dello sconosciuto, la donna si accorse che la sua vita era piatta e scialba, che non si accontentava più della sua tranquillità. Ma sarebbe stato disdicevole, per una futura regina, un divorzio affrettato - preferì pensarci con calma.
In fondo, il vento una volta le sussurrò che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo.
Nel frattempo incontrò più spesso il cavaliere, sempre nel bosco, sempre alle radici dello stesso albero, quasi fosse una colonna di una piazza a caso.
Lui le mostrò cartine dei suoi viaggi, le raccontò di un popolo lontano. Cantarono canzoni accompagnate dalla sua vecchia chitarra, lessero poesie. C'era un'armonia che nessuno dei due aveva mai trovato prima.
Ma la principessa era ancora legata al marito, passarono dei mesi prima che lei facesse il passo decisivo. Quando si è deboli si ha bisogno di certezze, e il tempo spesso aiuta.
In quei mesi, però, capitò che il marito partisse per qualche giorno - la damigella sua sposa sapeva bene della presenza di un'altra donna, là dove era diretto.
Fu in quel periodo che tra i due sconosciuti successe qualcosa.
Un bacio dal sapore agrodolce, due piccole parole forti e forse esagerate, tante risate spensierate e allegre. In quel tempo, il cavaliere conobbe davvero la principessa: lei gli aprì le porte del suo mondo fiabesco, una volta lo condusse anche nel suo castello.
Ma lo sposo tornò, così come era previsto, e si arrivò alla resa dei conti.
Crollò a questo punto la stabilità del mondo della piccola donna. L'aveva voluto lei, sì, ma ci fu ugualmente un momento di confusione generale, e per questo lei e il cavaliere non si videro per qualche tempo.
Finché, un bel dì, ricominciarono a frequentarsi, tornando sotto quell'albero nel bosco. Passava così, rapidamente, il tempo (i giorni pesano se sono vuoti, quei giorni invece volarono leggeri).
Ma come può un guerriero restare intrappolato da un amore fugace?
Partì, con la certezza che avrebbe voltato pagina senza fatica.
Cercò dunque di passare oltre, come faceva sempre, con le sue avventure, riprendendo il viaggio. Ma, questa volta, quest'avventura non l'aveva vissuta da solo, non spettava solo a lui decidere cosa dimenticare e cosa mantenere intatto.
Lei non aveva alcuna intenzione di passare oltre o di dimenticare qualcosa - neanche il più piccolo dettaglio doveva essere scordato. Lo seguì. Gli scrisse lettere su lettere, torturandolo di ricordi che lui cercava di affogare nel rosso scuro e buio del vino, superando quel che era stato e andando alla ricerca di una nuova impresa, degna delle precedenti. Tentando di fuggire. E fuggiva, fuggiva. Scappò lontano. Ma non importa dove dormì quella notte o quanto lontano scappasse.. Tornò.
Dopo qualche tempo, dopo più di un mese, tornò e lei sapeva che sarebbe tornato. La trovò lì, ad aspettarlo, pronta a stringerlo e a farsi stringere di nuovo. Scese dal suo cavallo pece e la guardò negli occhi, come se nulla fosse successo, come se quei giorni gravi e lenti non fossero esistiti. Sicuramente vissero felici e contenti. Ma dopo un lungo tempo sereno, dopo notti insieme, dopo tante carezze e un po' di passione, dopo risate e discussioni, dopo passeggiate e serate, il tempo tornò a chiamare il cavaliere solitario, a distoglierlo da tutto ciò che è futile e, forse, a destarlo da sentimenti falsi.
Lo vide, la sua dama, dalla finestra salire a cavallo e uscire dai cancelli; urlò e lo chiamò, chiedendo perché, il motivo di tutto questo.
In fondo era mio diritto conoscere la ragione della mia stessa solitudine.
Tuttavia non ricevetti alcuna risposta. La decisione era stata già presa, in mia assenza, e nulla può frenare la determinazione di un guerriero che ha sempre vissuto da solo e che non ha mai dovuto discutere né condividere con qualcuno le sue scelte.
Semplicemente, fa quello che vuole fare.
Così il vento si riprese il suo uomo, e io non potei far altro che guardarlo sparire nell'orizzonte.

Ma quando arriva il vento a scompigliarmi, ancora una volta, i capelli e le vesti, io sento il suo profumo a scompigliarmi, ancora una volta, i pensieri e i ricordi.

lunedì 26 gennaio 2009

Otto.

Descrizione.
E' un bambinone. Un grande cucciolo. Con le mani paffute e sgraziate, sempre sporche di pennarello o penna. Passa il tempo a disegnare, fingendo di prendere appunti, fingendo di essere attento alle lezioni. Oppure dorme, e sembra piccolo quando dorme, più che altro perchè sta zitto. Proprio come un bambino: mentre è assopito sembra docile e carino.
Tira su con il naso invece di soffiarlo, pasticcia tutto e si diverte a fare scherzi stupidi ai suoi amici.
Tutto ciò che è vietato lo diverte, bestemmia e poi ride; come i bimbi quando imparano le parolacce e le usano a caso.
Innamorato perso di quella sua amica, la sua compagna di classe da anni, la sua migliore amica. Ma tutti lo sanno, e si vede subito, che è perso per lei. Lui è impegnatissimo ad atteggiarsi, a fare quello che guarda solo le fighe, sostenendo che in una ragazza importino solo tette e disponibilità.
Eppure è innamorato di quella sua amica, che è un'alternativa, alla mano e semplice, un po' buffa ma intelligentissima. Bella ma non vanitosa, noncurante del suo aspetto, quasi mai truccata e assolutamente fuori moda. Sportiva e spigliata, spettinata e poco femminile.
Anche lui è uno sportivo, come i bambini. Forse lo fa sentire libero, come un bimbo che corre libero in un prato.
Conoscendolo poco pare solo un grandissimo imbecille, rompipalle e noioso con le sue stupide passioni - il calcio e qualche cartone animato; ma ad osservarlo attentamente si notano la semplicità del suo carattere e l'ingenuità di alcuni suoi atteggiamenti. Un personaggio buffo, nel quale sono incappata un giorno, così; per caso.

martedì 9 dicembre 2008

Sei.

Eccomi.
Scrivo da New York, ho giusto 5 minuti di tempo.
Il tempo e' troppo poco.
Ma troppo poco in generale.
Non bastano 5 minuti per dire quanto ho visto, non bastano 5 giorni per vedere quel che volevo vedere. E' davvero una citta' enorme, non ho visto neanche meta' manhattan.
Ho realizzato 3 delle mie quattro fisse, non potevo neanche pretendere di portare tutta la combriccola a veder quel che volevo vedere io. Qualcosa si', pero'.
Ho visto l'hard rock cafe', times square e il dakota building. Il primo e' bellissimo, con la chitarra di Johnny Ramone e quella di Bruce Springsteen, con la giacca di Joey Ramone e quella di Joan Jett. La seconda.. be', cavoli. e' Fantastica! Per poi parlare del luogo dove e' stato ucciso John Lennon; con la mia precisione (forse e' stato piu' che altro un colpo di culo) sono andata li' proprio l'8 dicembre, per vedere come qualche fan celebrava l'anniversario della sua morte, con qualche chitarra e un coro che intonava solo canzoni del Beatles.
Per il resto, SoHo e' bellissima e Central Park e' enorme. Ma qui tutto e' enorme, a partire dalle dosi dei cibi fino alle dimensioni dei palazzi. Necessaria la puntata da Sturbucks con tanto di Frappuccino nonostante il gelo. Poi io volevo vedere Harlem, giusto per curiosita', ma mi sono stati tutti piuttosto contrari, e posso anche capirli, pero' mi spiace. Altra cosa che mi sarebbe piaciuto un sacco sarebbe stato ascoltare una messa in Gospel, ma non ce l'abbiamo fatta.
Ora devo scappare..
Bellissimo viaggio comunque, e mi aspettano 9 ore di aereo per il ritorno.
Tante cose da raccontare, questo senza dubbio.

martedì 2 dicembre 2008

Cinque.

Felicità!
[...]
- Non c'è posto, non c'è posto! Siamo al completo, non c'è posto!
~ Ma mi sembra che qui sia pieno di posti vuoti..
- Sì, ma non è corretto sedersi senza essere stati invitati!
- Certo che non è corretto! E' oltremodo scorretto!
~ Oh, chiedo scusa! Ma mi è piaciuto tanto il vostro canto e mi son chiesta se potreste dirmi..
- Ti è piaciuto tanto il nostro canto?
- Oh, ma che simpatica bambina! Sono così emozionato.. Nessuno ci fa mai un complimento! Predi una tazza di tè!
- Ah, sì, è vero, il tè! Devi assaggiare una tazza di tè!
~ Volentieri! Scusate se vi ho interrotto mentre celebravate il vostro compleanno..!
- Compleanno?! Ma mia cara bambina, qui non si tratta di un compleanno!
- Ah! Ci mancherebbe! Il nostro è un non compleanno!
~ Un non compleanno? Scusatemi ma non riesco a capire..
- E' molto semplice. Dunque.. 30 dì conta novembr.. No, aspetta. Nè di Venere nè di Marte non ci sto! Se tu hai un compleanno, hai anche.. Ahahah! Non sa cos'è un non compleanno!
- Ignara! Uhuhuh! ... Ebbene, io la deluciderò! Noi tutti abbiam un compleanno - ogni anno!
- E uno solo all'anno, ahimè, ce n'è!
- Ah, ma ci son 364 non compleanni..
..che quindi preferiamo festeggiar!
~ Ma allora oggi è anche il mio non compleanno!
- Davvero?!
- Com'è piccolo il mondo!
- In tal caso..
Un buon non compleanno!!
~ A me?
- A te!! ..Or spegni la candela e rallegrati perchè è un buon non compleanno per te!
~ Oh, com'è carino!
- Dunque, mia cara, stavi dicendo che ti avresti piacer.. oh, pardon - Che ti piacerebbe avere delle informazioni su non so che cosa.
~ Oh, sì! Vedete sto cercando..
- Da qua, più in là! Cambiar!!
~ Ma se non l'ho neanche adoperata!
- Un altro tè più in là, più in là!
- Ne vuoi più, di tè?
~ Ma, già che non ne ho avuto niente, come faccio a volerne più?
- Ah! Vorrai dire come fai a volerne meno!
- Eh già! Si può sempre volerne più di niente!
~ Volevo dire che...
- E ora, mia cara.. Pare che ci sia qualcosa che ti preoccupi. Non vuoi dirci di che si tratta?
- Comincia dal principio!
- Sì, sì. E quando arrivi alla fine, fermati! Capito?
~ Ecco. Tutto è cominciato mentre stavo seduta in riva al fiume con Oreste..
- Mooolto interessante! E chi è Oreste?
~ Bè, Oreste è il mio gatto. Vedete..
[...]
- Ma che ha il topo?!
- Prendilo! Prendilo! Aiuto!
- La marmellata, presto, prendi la marmellata e mettigliela sul naso! La marmellata sul naso!
- Oh grandi numi! Son queste le cose che mi scombussolano tutto!
- Hai visto cos'hai combinato?
~ Veramente io non pensavo che..
- E' questo il guaio! Se tu non pensi non dovresti parlare!
- Altro tè, altra tazza, cambiar! Cambiar! Più in là!
~ Ma neanche adesso l'ho adoperat..
- Andiam più in là, più in là!
- Ed ora, mia cara.. Stavi dicendo?
~ Oh, sì. Ero seduta in riva al fiume con.. Oh! Lei sa con chi!
- Ah, io lo so?!
~ Ma sì! Con O-re-ste.
- Tè?!
- Soltanto mezza tazza.
- Suvvia, mia cara! Non ti piace il tè?
~ Ma sì, mi piace moltissimo, ma..!
- Se non ti piace il tè potresti fare un po' di conversazione!
~ Veramente cercavo di chiedere..
- Ho un'ottima idea! Cambiamo argomento!
- Perchè i tramonti son pupazzi da levare?
~ Un indovinello..? Vediamo un po'.. Perchè i tramonti son pupazzi da levare?
- Ti dispiace ripetere?
~ Perchè i tramonti son pupazzi da levare?
- ..Sono che cosa?!
- Attento! E' lei pu-pazza da legare!
~ Ma è quel vostro stupido indovinello! Avete detto che..
- Calma! Non ti agitare!
- Ti va una bella tazza di tè?
~ Una bella tazza di tè! Davvero! Grazie, non la voglio più! Perchè ora è..
- ..Che ora è? Che ora è? Chi sa che ora è?
÷ Nononono! Ora no, ora no! Hello! Bye bye! E' tardi assai!
~ Oh! Il bianconiglio!
÷ Sono in ritardo! Arci ritardissimo!
- Bè, è naturale che tu sia in ritardo! Questo cipollone è esattamente due giorni indietro!
÷ Due giorni indietro?!
- Eh certo che sei in ritardo! Grandi numi!.. Bisogna guardare dentro! Ah! Ecco cos'è che non va! Quest'orologio ha troppe rotelle e vitarelle!
÷ Oh il mio povero orologio! ..Le mie rotelle, le mie molle! Bu-buoni prego, bububu..
- Bu-burro, certo, ci vuole un po' di burro! Buuuurro!
- Bu-bu-burro? Eccolo!
- Oh, grazie! Burro! Benissimo!
÷ Nononono! No, ci cadranno le briciole dentro!
- E' il burro più buono che ci sia, mi meraviglio di te!
- ..Tè?
- Tè? E chi ci pensava al tè? Ma certo: tè!
÷ Oh no! Nonono! Non il tè!
- ..Zucchero?
- Zucchero? Due cucchiaini, solo due cucchiaini grazie!
÷ Perfavore, ba-ba-bas..
- ..La marmellata!
- Ah, già! Me ne ero completamente dimenticato! Può accadere.
- Senape!
- Senape, sì! Ma.. Senape?! Non diciamo sciocchezze! Limone: questo sì che può andare! Vualà! Dovremmo esserci!
- Guardate!
- E' impazzito!
÷ Ahimè!
~ Oddio!
- Allarme! Allarme!
- Eh sì che il burro era di pura panna..
- C'è un solo modo per fermare un orologio matto!
[...]
- Due venerdì di ritardo, ecco cosa aveva!
÷ Sigh! Il mio orologio!
- Ah.. era tuo?
÷ ..E me lo avevano ragalato per il mio compleanno..
- In questo caso... Un buon non compleanno a te!

Questo è il ricevimento
più stupido a cui io
abbia mai preso parte
in vita mia!

giovedì 20 novembre 2008

Quattro.

Sogno, vinile e passato.
Basta. Adesso basta.
Non ci vuole tanto, in fondo.
Non tanto tempo, almeno. Ma sicuramente tanto coraggio.
Prendo il disco. Dov’è finita la tecnologia? Prendi un cd, o l’iPod: sarebbe più semplice. No. Io voglio il vinile. Quello che ho comprato pensando a lui. A lui che adesso non mi vuole. A lui che non mi perdonerà. A lui che non tornerà. Ma non importa. Adesso ho solo voglia di mandare affanculo tutto. Tutto e tutti. Dai, metti su il disco. Il coltello affianco al giradischi. Dove hai preso tutto questo coraggio? Non l’hai mai avuto. Da dove vien fuori? Chi se ne frega. Affanculo. Metti la puntina sul vinile nero. Fai girare il piatto. Gira, gira, gira. Perché quando il sangue non scorrerà più nelle tue vene, quando sarà tutto uscito e non potrà più scorrere, in quel momento il vinile continuerà a girare. E a suonare. Gli U2. Ah, quanto odio gli U2. Ma lui No. E quando il disco continuerà a girare, io non ci sarò più. E’ bene, dunque, che sia qualcosa che piaccia a loro. Loro che lo sentiranno quando ormai sarà tardi. Loro che ci saranno quando il disco continuerà a girare. Loro che sono la causa di tutto questo. Comincia la musica. Ah.. Questo brano. Quanti ricordi. Era un umido e freddo giorno di Dicembre.. Anche se oggi è ottobre. Non importa. Affanculo.
L’importante è porre un termine a tutto questo…
Termine posto.
Termine deciso.
Termine arrivato.
Il sangue comincia a scorrere.
So long.. This love won’t let me go. Oh, sì, invece. Quanto scommetti che questo amore mi lascerà andare? Mi accascio a terra. La schiena contro il letto. Ora basta aspettare. Il dolore mi trafigge tutta, le lacrime cominciano a scorrere. Lacrime negli occhi e sangue sulle mani. Forse è solo questo che volevano.
Qualcuno spalanca la porta della mia camera. Devo aver lasciato il portone aperto. Amici. Due amici qui, a cercarmi. Mi vedono accasciata a terra, piangente. Notano le lacrime, non notano il sangue.
“Lucy! Ma che stai facendo?”
“Muoio.”
Ecco, ora notano il rosso sui miei polsi.. Sento che Sam, dietro, trattiene il respiro.
“Ma sei scema? Ma perché?!”
Rido.
Rido, rido e rido. Così voglio che finisca la mia vita. In una risata. Forse la più brutta, sicuramente l’ultima, basta che sia una risata.
Ma mentre Dan è qui che cerca di svegliarmi, che cerca di farmi ragionare e di capire il motivo di tutto questo, Sam di là chiamava qualcuno. Non so chi. Ma chi se ne frega. Affanculo.
“Cazzo, Lucy! Perché ridi?! Cosa c’è da ridere?!”
“Ma io non sto ridendo. Io sto piangendo.”
“Ma allo stesso tempo ridi! Sorridi! Che senso ha?!”
“Rido.. Sì. Non la senti la musica?”
“La musica.. Sì. Vuoi che la fermi?”
“NO! No, non farlo. Ti prego.”
Quel primo no sembrava uno scatto di vita, accasciata a terra mi ero mossa violentemente per insistere sulla musica e sulla sua presenza. Doveva esserci. Faceva parte del gioco.
"Ma perché, Lucy? Spiegami il motivo, almeno!”
“Perché mi chiedi il motivo di tutto questo? Cosa importa? Sto morendo.”
“No, tu non morirai. Non lo voglio, non lo vuole nessuno.”
Rido. Di nuovo, rido di nuovo, perché voglio morire così. Con la musica di sottofondo..
“Lucy, e il dolore? La tua paura per il dolore? Non l’avresti mai fatto. Non senti male?”
“Certo, Dan. Sto male. Sto piangendo, non vedi? Mi fa male tutto. Ma sto facendo la felicità di tante persone in questo momento. Ahahah.. Affanculo. Volevano questo, no? Affanculo.”
Arriva qualcun altro. Entra, ma sta sulla soglia della porta. Non so chi è. Non presto attenzione a questo. Entra anche Sam, dicendo che ha chiamato l’ambulanza. Ma a che serve?
“Perché l’hai chiamata? Tanto non arriverà.”
“Perché dici così?”
“Perché è così. Arriverà troppo tardi. Perché questo paese fa schifo, e perché a nessuno interessa salvarmi. E poi.. Fanculo.”
Seduta a terra, la schiena appoggiata al letto, le braccia pure. I polsi rossi, il copriletto macchiato, il materasso si sta impregnando di sangue.
Wow.
Arrivano altre persone, arrivano correndo, arrivano ansimando, arrivano spaventate.
Arrivano con la faccia di sapere cosa stanno per vedere, ma una volta arrivate assumono un’espressione attonita, stupita.
Cosa si aspettavano? Che mi stessi uccidendo su di un letto di rose?
Ormai la seconda traccia è cominciata. Amore.. Salvami. Ahahah.. Che buffo. Amore.. Esistesse.
E poi arriva lui, lui che ha provocato tutto questo, lui che da qualche tempo non mi saluta e non mi parla, lui che da qualche tempo incrocia il mio sguardo e nasconde il suo, lui che mi volta le spalle, lui che se ne va quando io arrivo, lui che mi vede e si gira schifato. Ma ora No. Ora ha la paura negli occhi. è allarmato, si fa spazio tra la gente sulla soglia della porta per entrare. La paura negli occhi, ma il coraggio di avvicinarsi a me.
Dan si sposta.
Ora siamo solo io e lui. Tutti gli altri dietro non importano.
Mi guarda.
Yeah, I'm here, without a name,
In the palace of my shame.
I said.. Love, rescue me.
“Ma cosa fai, Lucy?
Che cazzo stai facendo?"
“Muoio.”
“E perché?”
“Perché.. Oh, Bob. Non lo so perché.”
Sì, invece, lo so. Ma non riuscirò a dirglielo. Non ce la faccio. Il coraggio di uccidersi.. Ma il coraggio di confessare qualcosa No. Buffo.
“Sì che lo sai.”
“Forse lo so.”
“Lucy. Sicuramente lo sai.”
“Allora lo sai anche tu.”
Sì, lo sa anche lui. E’ chiaro.
“Ti ho pensato in questo periodo. Mi sei mancata.”
“No, non è vero.”
“Sì che è vero.”
“Non mentirmi, Bob. Non mi serve. Non adesso che sto cercando di liberarmi dal dolore.”
“Non ti sto mentendo. Non ti ho mai mentito.”
“Se fosse vero, se fosse così, ora io non sarei qui. Non sarei arrivata a questo.”
Mi bacia. Ma io resto immobile. Che senso ha?
“Perché adesso? Perché adesso che sto morendo? Perché non prima?”
Qualche lacrima scende dai suoi occhi. E io mi sento meno sola. Piange. No, non voglio vederlo piangere. Non voglio ricordarlo così. Voglio tenere un ricordo diverso di lui. Voglio ricordarlo come sorrideva, come sorrideva solo a me. Con il suo sorriso dolce, non con la risata aperta che fa con gli amici. Con il sorriso appena accennato che faceva solo a me. Guardandomi negli occhi. Ecco, così lo voglio ricordare. Guardandomi negli occhi. Ma ora.. Ora piange. Guardando da un’altra parte.
Gli sfioro il viso. Il naso, la guancia, quelle labbra. Sotto il mento la mia mano, lo tiro su, faccio in modo che mi guardi negli occhi. Il sangue gocciola un po’ sulla spalla della sua camicia.
“Ehi.. Tranquillo. Non fa niente.”
Sorrido. Lui non sa cosa dire.
Poi mi sento male. Improvvisamente. Chiudo gli occhi, appoggio la testa sul materasso. Da lì in poi sono solo suoni confusi, voci tristi e lontane, quasi nessun’immagine. Un’ambulanza che si ferma sotto casa, qualcuno che mi prende per il piedi e per le braccia, mi appoggia su qualcosa - una barella, fredda e asciutta. Forse preferivo il mio tappeto imbrattato di lacrime e sangue, era caldo, quasi accogliente. La sua mano lascia la mia, e in breve tempo, l’aria aperta. Lo so che è la via dove abito, lo sento.
E il sole.
Il sole splende fuori.
Ma non m’importa.
Affanculo.
I've conquered my past.
The future is here at last.
I stand at the entrance
to a new world I can see.
The ruins to the right of me
will soon have lost sight of me.
Love.. rescue me.

No reason why

La mia foto
fiori colori sole prato profumi mani voce labbra gonna greco pianoforte basso italiano luce fotografia biro.