Life is a laugh.


Words are flowing out like endless rain into a paper cup,
they slither while they pass, they slip away across the universe.

Thoughts meander like a restless wind inside a letter box,
they tumble blindly as they make their way across the universe.

In the depth of winter, I finally learned that there within me lay an invincible summer.

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domenica 26 settembre 2010

Settantadue.

lo stato attuale delle cose
La gente passeggia con aria assorta portandosi dietro i proprio guai in cartelle colorate rosse verdi gialle e blù.
Nel porta cd di fianco al letto, in ordine alfabetico, le occasioni perse di una vita aumentano e crescono ancora. Un album pieno di figurine d'impegni e cose da fare; la copertina plastificata nera lucida resiste alla pioggia al vento alla neve al sole agli urti agli strappi - qualsiasi cosa succeda a quelle pagine mantengo vivi i miei doveri, rimandati un giorno in più.
La gente mangia il proprio tempo rimpinzandosi di numeri elencati su calendari, orologi, contando le lune, contando le stelle.
Sono al bar con qualche amico e prendiamo qualcosa da bere, veloce, veloce, scappa, corri, è tardi, ma siamo appena arrivati!, è tardi, è tardi, siamo sempre qui ad aspettare te. Vabè prenderò qualcosa al bancone, tu che vuoi? Un.. Niente - senza ghiaccio per favore.
Io mangio l'aria e il vuoto mangia me, chi mangia chi?, cane mangia cane, non l'ho letto, dovrei.
Anoressica e sua sorella è anche troppo magra ma mai abbastanza, questo non ha senso, questo non ha davvero senso.
Non sono in vena di sensi ultimamente, nè quello giusto nè quello contrario, nè a destra nè a sinista, nè uno dei quattro, nè uno dei cinque, e neanche il sesto.
Comunque il caos altro non è che un ordine cosmico.

lunedì 22 marzo 2010

Cinquantotto.

Primule
Quasi un mese che non passo di qui!
La scuola sta cercando di uccidere la mia fantasia.
Ma ricomincio a vedere i fiori, e quando il sole fa capolino tra le coltri di nuvole torno a ballare!
La pioggia di Marzo è la più viva.
Buona primavera a tutti.



venerdì 8 gennaio 2010

Cinquanta.

Nascono oggi Elvis Presley e David Bowie.
(Sti gran cazzi - se mi permettete!)

Oggi, durante la lezione di latino, il mio sguardo era come sempre incollato alla finestra. O meglio, fuori da questa.
E c'era un grosso tubo di rame, credo, che con il tempo e per via dell'ossidazione ha preso da tempo quel colore verde sbiadito tipico. E mi è balzata in mente la statua della libertà, con un'agilità che non pensavo potesse avere un monumeto di tale dimensioni.
Mi è saltata in testa, dicevo, lei e la sua isoletta, e il traghetto che mi ci ha portata, e tutta Manhattan e New York, e anche Jersey City e l'albergo in cui stavo.
E mi è sembrato di sentirne l'odore, le luci dall'altra parte dell'Hudson e il silenzio di Wall Street. Ma soprattutto l'odore.
E l'immagine di quei palazzi che sembrano voler scappare nel cielo,
oppure semplicemente prendere le distanze dal terreno; una visione un po' snob, quest'ultima.
Però ci sta.
Vorrei anche io prendere un po' le distanze da questi pavimenti, ogni tanto.
E lo farò.
Rinchiuderò i miei piedini in scarpe che non mi permetteranno di camminare, e mi allungherò di qualche centimetro.
Per far cosa, poi?
Bah.
Solo che nel frattempo il professore parlava.
Mi spiace che il latino sia sempre martire di questi miei pensieri.

mercoledì 4 novembre 2009

Quarantuno.

What the hell's your name?
What's your pleasure and what is your pain?
Do you dream too much?
E se davvero alcuni spiriti restassero legati al proprio corpo morto?
Nell'aula di scienze c'è uno scheletro umano in una teca di vetro ben sigillata; uno scheletro vero, uno scheletro che è stato vivo. Ho chiesto alla professoressa di chimica e biologia; dice che non si sa chi fosse o che origini avesse, non ne conosciamo il sesso nè tanto meno l'aspetto. E' solo lì rinchiuso nella sua immobile posizione verticale.
Manca il dente davanti superiore, quello sinistro; è l'unico dettaglio non a posto, l'unica cosa non perfetta; le ossa sono integre e senza un graffio.
Solo qualche volta ne vedo l'anima; una donna disperata con gli occhi spalancati e lo sguardo di terrore. E' quasi trasparente, quando la guardo riesco a indovinare lo scheletro dietro di lei, la attraverso con lo sguardo come il vetro della sua stessa minuscola stanza.
E' incatenata a quello che era il suo corpo, le sue ossa; è imprigionata nella teca di vetro con lui. Mi uccide con i suoi occhi disperati, batte contro il vetro della sua galera silenziosamente e senza che nessuno la noti. Urla senza voce, colpisce il vetro senza suono; per quanto sia visibile, è chiaramente intangibile, inconsistente. Ma è poi visibile? Perchè nessuno fa niente per liberarla? La vedono, loro? La vedete? Sono solo io?
La catena ed il lucchetto che tengono chiusa la sua colonna di vetro e legno non si muovono nè vibrano ai suoi colpi disperati. Niente e nessuno si accorge della sua inquietudine.
I neri capelli spettinati, il dente che manca sotto le labbra rosse. La pelle candida con le gote rosee. Non è vecchia.
Il solito sguardo sconvolto: cosa le sta succedendo? Perchè non la lasciano fuggire? Così è appiccicata ad un corpo che probabilmente sapeva usare, che addobbava ogni mattina e spogliava ogni sera, che mostrava a chi ne era degno. Chiuso in quattro piccole pareti perchè qualche liceale possa vedere un esempio di ossatura umana.
Anche se potrebbe essere il contrario. Potrebbe essere quello spirito il vero prigioniero.
Il corpo, quel che la decomposizione non ha distrutto, può in realtà essere un mezzo, un modo per tenere ferma la donna.
Quale rabbia implacabile si può nascondore dietro occhi terrorizzati e capelli in disordine!
La guardo ancora; cerco di leggerla ma mi è impossibile, è un'anima dannata. Chi, o cosa, mente meglio di una donna preda della disperazione?
Improvvisamente mi pare cattiva; non provo più alcuna compassione ora che, osservandola, prendo in considerazione la possibilità di uno spirito rabbioso e bugiardo, la sua ipotetica vendetta. Perchè potrebbe essere arrabbiata?
La prima cosa che mi viene in mente è un figlio.
Forse un marito, o un amore di qualsiasi genere. E' così triste..

Chi sei? Ti vedo davvero solo io? Mi percepisci? Come ti chiami?

Si volta, mi osserva, mi penetra con i suoi occhi di ghiaccio; un barlume le illumina per un istante l'espressione spenta.
L'ennesimo urlo silenzioso prima di accasciarsi a terra, alla base del piedistallo nero su cui si erge la sua morta figura.

"Aiutami. Aiutami."



lunedì 19 ottobre 2009

Trentotto.

I don't feel like writing.
..E' come essere in alto mare.
In qualche modo ci sei arrivato, no? Come? Su di un materassino.
Hai viaggiato su di un materassino gonfiabile.
Hai pure faticato, per trovarti ora in alto mare.
Proprio come quando sei sopra a questo dannatissimo materassino, e ti buttano giù, in acqua.
Un secondo prima eri asciutto, eri calmo, con il calore del sole sulle spalle. Un secondo dopo sei nell'acqua salata, il freddo ti rincoglionisce e non capisci più un cazzo. E tutto quello che fai è cercare quello stupido materassino: unica possibilità di salvezza. Lo trovi. Lo trovi e ti ci attacchi morbosamente, non lo molli più, lo abbracci.
La tua vita in mano ad un materassino gonfiabile. E' così, no?
Lo stupore della scoperta di una brutta notizia, trovarsi improvvisamente nel luogo dove si voleva arrivare per accorgersi che non è come lo immaginavi.
Volevi la libertà, l'acqua sotto di te a cullarti ed il sole sopra a riscaldarti. E invece, dove sei?
In alto mare. Delusa, bagnata, salata. Sali ancora sul tuo materassino con una sola domanda in testa. La solita.
Perchè?
Perchè le mie aspettative sono state deluse?
Perchè niente è andato come doveva?
Perchè sono venuta fin qui?
Perchè ho faticato per arrivare qui, e ora sono solo più triste di prima?
Questa è la libertà?
La libertà tanto agognata nei tempi passati, tanto rivendicata tutt'oggi?
Perchè fai sempre lo stesso errore. Non confondere solitudine con libertà.
E ora? Cosa sei? Solo, o libero? Forse tutt'e due.
Ma si può essere liberi, quando si è soli?
Libero di cosa?
Libero di fare quello che vuoi. All'interno del tuo stupido materassino.
Libero di pensare quel che vuoi. Di esporre i tuoi pensieri. Ma a chi? Al mare?
L'oceano, che ti ha sempre affascinato così tanto, improvvisamente diventa il guardiano della tua stessa prigione. Pensavi di essere libero. Sei ancora incatenato. Solo che, adesso, sei anche solo.
Cosa ci hai guadagnato? Si dice che dagli errori s'impara.
Io, da questo viaggio, ho imparato solo che le mie aspettative sono sempre troppo alte.
E, come al solito, l'ho capito troppo tardi.
L'ho capito adesso, che sono in alto mare.



PS.
Questa cosa, che, come al solito, non so come chiamare o definire, è stata scritta in realtà nel mio Aprile 2008. Ho deciso di pubblicarla qua perchè mi era tornata in mente parlando di tutt'altro con un mio amico. E basta.

martedì 29 settembre 2009

Trentatrè.

Autobus.
Eravamo spesso insieme.
Il fatto che non lo fossimo sempre non conta; talvolta mi capita di creare legami più stretti con persone che vedo poco, piuttosto che con la mia compagna di banco. Succede perché l’affetto non è questione di tempo, il cameratismo e l’amicizia vanno spesso insieme ma non necessariamente.
Non era in classe con me, e a scuola non ci vedevamo quasi mai.. Tuttavia ci trovavamo ogni giorno sull’autobus, e il tratto di strada da fare sedute lì sopra era lungo per entrambe.
Le chiacchierate, quante parole, quanto tempo passato seduto l’una affianco all’altra!
Si era instaurato un rapporto curioso, avevamo un nostro linguaggio per intenderci meglio, meglio che con gli altri.
Ricordo che quando l’una chiedeva all’altra quanto mancasse alla fermata di arrivo c’era sempre un’incomprensione nella risposta. “Alla terza.” “Ma.. Contando questa? E contando quella giusta?”. Così ci eravamo semplicemente accordate: parliamo come si fa con i giorni. Se io dico oggi significa che dobbiamo scendere alla fermata più immediata, quella in corso; se dico domani è quella dopo, e via discorrendo. Così ci capivamo al volo, mentre i compagni di viaggio occasionali ci guardavano di traverso.
Non so per quale motivo lei cambiò città; so solo che mi trovai persa.
E’ buffo a sentirsi, lo immagino, ma all’intervallo la vedevo in cortile, sempre; e all’improvviso non la vidi più. E i viaggi in autobus da sola? Come? Perché? Però andai avanti, per forza, logicamente.
Fu solo dopo un po’ che mi accorsi di un’altra ragazza che prendeva l’autobus un po’ dopo di me, ma scendeva alla mia fermata. Veniva alla mia scuola, non l’avevo mai vista perché era nuova, aveva un anno meno di me. Una quartina. Una quartina.. Era gentile.
Non feci più viaggi da sola. Mi sono sentita di nuovo a casa e, non voglio essere cattiva, ma - sul serio - era tornato tutto come prima.
Una volta la invitai a casa mia per il pomeriggio, quindi fece il tragitto intero con me. Chiaramente non sapeva dove io abitassi; “Tra quante fermate dobbiamo scendere?” “Dopodomani” risposi io, sicura e disinvolta. Era tutto come prima.
Distolsi un attimo lo sguardo dal finestrino, stupita del silenzio calato all‘improvviso.
Mi guardava anche lei, incuriosita..“Come hai detto, scusa?”

venerdì 18 settembre 2009

Trenta.

Post-it.
Buon giorno, bellezza.
Hai dormito bene questa notte?
Scusa per l'orario, ma sai che amo scrivere con affianco il sole che sorge; con lui mi si sveglia il cervello, e anche qualche idea, talvolta.
Volevo solo ricordarti che ti amo.

Ci tenevo a ricordartelo perchè in questi giorni l'Angie è triste; oggi pomeriggio - in un patetico(*) tentativo di liberazione - si è ubriacata, ed è stata piuttosto male. Mi mette molta malinconia e mi ricorda che tutto ciò che comincia finisce, che in fondo abbiamo solo questi stupidi sedici anni, che nulla è veramente importante e blablabla, tutte quelle cose lì, insomma.
Quindi volevo ricordartelo.

Inoltre ho pensato che io per Bob non l'avrei mai fatto, e che io e Angie siamo proprio diverse. Quando mi sono vista Bob scappare.. A me è successo più volte, come sai. La seconda volta ho pianto per tre giorni, poi mi sono detta "Basta, così non funziona"; ho preso in mano la situazione e così tutta la mia vita, ho deciso che lo rivolevo, e me lo sono ripreso. Ci è voluto del tempo, ma ci vuole sempre del tempo - sai che sono una tranquilla e paziente, sempre - e infine ho ottenuto quello che volevo. La terza (e ultima) volta che mi sono trovata nella stessa situazione ho pianto per 3 giorni ancora per poi ripetermi "Basta, così non funziona"; ho preso in mano la mia mente e quelle inutili lacrime, ho deciso che non lo rivolevo. Con camla e con tempo, ho imparato dai miei errori. Nel giro di un mese stavo con un altro, e questo è stato il mio patetico(*) tentativo di liberazione. Una storia insignificante: pensavo a Bob, ancora, però è stato un tentativo. Ci ho provato, a dimenticarlo; scambiando un fugace sprizzo di vita con l'inizio di una passione, e pensando, alla fine, ancora a lui. Ma, vedi, sempre meno.
Finchè non sei arrivato tu, e quando sei venuto a predermi quel lunedì, una sorpresa in bicicletta, me l'hai cancellato dalla mente.

Sai cosa significa questo?
Che la mia Angie è debole, perchè oggi pomeriggio per combattere la tristezza ha bevuto, e io non l'avrei fatto - per orgoglio o forse per preconcetti stupidi.
E vuol dire anche che la nostra Angie ha bisogno del suo Jude.
Però, vedi, deve capitare. E noi lo aspetteremo.

Sai, volevo solo ricordarti che ti amo.



P.S.
La foto soprastante non è stata scattata da me, nè sono io il soggetto. L'ha fatta un mio amico, e mi piace un casino. Spero non sia troppo fuori luogo..

(*) è solo una precisazione. Può sembrare inutile a molti, ma ci tengo particolarmente: la parola patetico può essere mal interpretata. Con patetico non intendo ridicolo nè superfluo; intendo l'aggettivo nel suo significato primo, nella sua derivazione dal greco "pathos" (da brava classicista). Non intendo dunque qualcosa di offensivo quanto emozionale e quasi disperato.

venerdì 26 giugno 2009

Venti.

Dialogo surreale.
(pensato qualche tempo fa)
▫ Ore?
▪ 12.32
▫ Mi pensi mai?
▪ Chi?
▫ Tu. Tu, mi pensi?
▪ Chi? Io?
▫ Tu?
▪ Io penso a chi?
▫ Non lo so, dovresti dirmelo tu. A chi pensi?
▪ E tu?
▫ A te.
▪ A te?
▫ A me?
▪ No. A te.
▫ A me?
▪ Sì, a te.
▫ Ma..
▪ Quanto tempo è passato?
▫ Da quando?
▪ Dagli ultimi sospiri?
▫ Il 20 febbraio, no?
▪ Sì.
▫ Oggi che giorno è?
▪ Oggi?
▫ Sì, oggi.
▪ Oggi è il giorno dopo ieri, il giorno prima di domani.
▫ Ma la data?
▪ Cosa importa?
▫ 20 Maggio. 3 mesi.
▪ Quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi.
▪ Sì, ma quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi, ho detto. 3 mesi.
▪ Sì ma non è sempre uguale. Alcuni giorni scivolano, altri scappano, altri ancora arrivano e basta.
▫ Dunque? Quanto tempo credi che sia passato in questi 3 mesi?
▪ Direi una vita.
▫ Una vita?
▪ La vita di questi 3 mesi.
▫ Non capisco.
▪ Non capisci. Tu guardi le date.
▫ E allora?
▪ Guardi l'orologio.
▫ Tu no?
▪ Il tempo non scorre sull'orologio.
▫ ...
▪ Ti scorre addosso. Capisci?
▫ Forse.
▪ Quanto ci hai messo a capire?
▫ Non so. Che ore sono adesso?
▪ E cosa importa questo?
▫ Mhm.
▪ Quanto tempo ci hai messo a capire.
▫ Ore.
▪ Ore.
▫ No, vero? Saranno passati 5 minuti.
▪ Se tu le senti ore sono ore.
▫ Ma che ore sono, adesso?
▪ 12.45.
▫ Vedi che se non ho l'orologio, sbaglio?
▪ Non è vero che sbagli. Chi è nel giusto? Tu o l'orologio?
▫ Ma l'orologio è meccanico, non può sbagliare, non può illudersi.
▪ Credi più all'orologio che a te stesso.
▫ Sono solo 13 minuti passati lentamente.
▪ Per te sono ore. Sono passati 13 minuti e tu hai vissuto delle ore. Sbaglio?
▫ No.
▪ Allora hai capito.
▫ Sono passati 13 minuti ma io ho vissuto delle ore?
▪ No?
▫ Bel risparmio.




mercoledì 3 giugno 2009

Diciassette.

Si vive di ricordi, signori, e di giochi!
Giochi e ricordi, giochi e ricordi, giochi e ricordi.
Qual è tra le due cose la più seria? Di cosa parlate, voi, quando parlate al passato, quando dite “noi”? Parlate di giochi, o di ricordi? Ricordi? Siete sicuro di voler ricordare? Mio adorato Mario Jemenez, mi avete avuta come nella mia vita nessuno mi ha mai avuta. Nessuno, e mai. Ma c’era qualcosa nel vostro dichiararvi mio che sapeva di amaro, pur profumando di viola, pur essendo in un certo qual modo sincero. Sincero? Qualche parola ripetuta all’infinito, qualche parola che mi fece poi ridere nella disperazione, qualche parola che se riletta adesso fa ancora tremare - nonostante il tempo che scorre implacabile e mai stanco, nonostante le esperienze che si susseguono senza pausa, nonostante la vita che continua.
Sempre.
Mai.
Dove il sempre intende un infinito relativo alla durata, un infinito dall’inizio alla fine, un infinito con una fine effettiva, un sempre per modo di dire; e il mai, allo stesso modo, si riferisce a quel tempo, a quel tempo ben determinato, a quei giorni scappati. Mai e sempre sono passati, sono finiti, sono arrivati. E giunti al termine di questa storia, che è stata e tutti si comportano come se non fosse, che è passata e allo stesso tempo No. Che è finita come è finita, che è finita perché è finita, che è finita quando è finita, che è finita se è finita, che è finita per volere di qualcuno che, allora, se non sono io e non siete voi, non ho mai conosciuto nè ho mai veduto. Ma adoro ricordare, e voi sapete che sono una nostalgica; adoro ricordare senza malinconia, adoro ricordare con sorrisi e risate, e non pensare a come sono stata male dopo, ma pensare a come stavo bene in quel momento. In quel che momento che ricordo.
Ricordo, ad esempio, che una volta mi accompagnaste a casa. Forse voi avete dimenticato - al contrario di me, voi adorate scordare - ma era sul finire della primavera, mentre l’estate si avvicinava vertiginosamente, una mostro avanzante. Più o meno come oggi; sì, un giorno come oggi. Mi accompagnaste a casa, dicevo, e mi diceste, tra labbra e sorrisi, che mi amavate, e lo diceste ripetendo il mio nome, lo diceste sussurrandolo, così che nessuno potesse rubarvi quelle parole, e neanche il vento, né le stelle invidiose le sentirono, furono solo mie, in quel momento furono solo per me. Non so se lo diceste con leggerezza o se foste serio, ma mi piace pensare che mi amaste davvero e profondamente, amo sognare cosa sarebbe stato, come sarebbe stato, cosa sarebbe adesso ciò che non è e non sarà. Non so se poi l’amaro che sentii sulla punta della vostra lingua fosse il sapore che fumo e alcol lasciano sulla vita, o se magari fosse qualcosa di più grave - un tocco di falsità poggiato sul rosso caldo.
Ricordate quando perdevate il controllo di voi stessi, quando non riuscivate più a fermarvi? Qualche volta rimaneste travolti anche voi, inutile nasconderlo ancora. O quando ancora non ci si esprimeva, ricordate che buffo? Ora come ora mi fa sorridere il pensiero di quei giorni in cui non si era nascosti ma neanche mostrati. Quella sera in cui mi suonaste nel caos, ma io sentii lo stesso il vibrare delle corde e le note della vostra voce, nonostante i rumori chiassosi dietro di noi. La stessa sera in cui vi dichiaraste, ricordate? Mi sembra ieri, a ripensarci. Di fatto, tutto questo è lungi da queste mie parole, e forse sarebbe ora di salutarsi una volta per tutte. Come quando vi chiesi un ultimo bacio; ricordo anche questo! Non so se presa dalla disperazione di non sentirvi più o semplicemente desiderosa di un ultimo schiocco, vi chiesi di baciarmi ancora una volta - quando mai mi venne in mente una simile proposta, con le lacrime che mi offuscavano più la mente che gli occhi!
Suvvia, non parlerò oltre, lo prometto. Ma, mio signore, io odio gli addii, e voi lo sapete bene - se mi conoscete ancora come mi conosceste.
Io vi ricorderò perché amo ricordare, amo i ricordi e li ho sempre amati, ho amato voi e così sempre vi ricorderò. Se voi preferite dimenticare, come so che è, cercherò di impedirvelo, con tutte le mie forze, con tutto ciò che posso. Non posso molto, è vero, ma adopererò tutto ciò che è in mano mia per farvi ricordare, per rendermi indelebile ai vostri occhi di cielo.
Le parole impresse sulla rocca del tempo con il mio sguardo - e con la vostra penna, mio amore - sono svanite come se la roccia si fosse sgretolata, diventando un’inutile mucchio di granelli di sabbia; spiaggia baciata dal mare, come solo l’amore può fare. Questo è finito, come sempre finisce tutto, questo tempo è scappato e voi ora scomparirete, forse per sempre, a questi occhi di foglia matura.
Fate come desiderate, come avete sempre agito: fate quel che vi sentite. E magari prima o poi capirò le vostre parole intricate, i vostri brindisi complicati alla salute di non so chi.
Vi saluto, io che in quel tempo fui per sempre vostra, ma spero che ci incontreremo ancora, in una qualche stazione, o sulla riva di un qualche fiume.
Beatriz



martedì 17 marzo 2009

Tredici.

Questa fu una delle sue avventure, un'altra da narrare,
a qualcun altro, chissà dove, chissà quando.

C'era una volta un principe. E... sì, c'era anche una principessa.
Questo principe era scappato dal suo regno, dunque in realtà non si può chiamare principe. Era un cavaliere solitario; senza casa e senza vergogna, vagava per il mondo. Non aveva bisogno di scudieri o schiavi, se l'era sempre cavata da solo, con le proprie mani. La sua spada e il suo intelletto, questo aveva e tanto bastava. Non aveva mai sentito la mancanza di nessuno, non aveva mai provato nostalgia o dolore; forse un po' di rabbia, qualche volta.
Semplicemente incapace di avere a che fare con la gente, incapace di provare sentimenti frivoli e leggeri: quale tra le emozioni più dolci può esser definita utile per un guerriero? Senza aver avuto donne, non ha mai sentito la necessità di trovarne o cercarne una; nessun impegno avrebbe potuto fermarlo. Troppo difficile e rischiosa, la sua vita, per esser condivisa con una dama.
Come il vento,
lui non possedeva nulla: forte e potente, arriva e se ne va. Sposa oggetti e distrugge - oppure aiuta qualche marinaio, dipende dal suo umore.
Così faceva il principe:
veloce e fugace, solo con il suo cavallo e la sua arma, vagava di reame in reame, in questa terra del nulla.
Ma c'era una principessa - l'avevo forse già accennato?
In un regno, c'era una principessina.
Sposata felicemente con il suo amato, per ora tutto andava bene: nobili normali, secondo i soliti canoni. Venivano da due rispettabili e felici famiglie; lei, figlia del re e della regina, lui di aristocratici della zona.
La principessa adorava la natura, con i suoi colori e i suoi profumi: lei stessa sapeva di fiori di campo. Una volta, tanto tempo fa, era nel bosco a respirare e assaporare il canto degli uccelli, felice e ridente, e una folata di aria fresca le scompigliò i capelli, legati con dei nastri, e la veste regale. Insieme alla brezza, era giunto uno straniero, su di un cavallo nero pece e con un'espressione seria in volto. Il cavaliere vide la giovane donna e si fermò ad osservarla divertito, nascosto dagli alberi. La principessa non lo notò subitaneamente, e quando lo vide da vicino ne restò affascinata. Ma lui.. Lui ne aveva viste tante di fanciulle, e molte tra queste erano decisamente più belle della ragazzina che ora si trovava davanti e guardava con occhi attenti. Ma c'era qualcosa, in quella bambina cresciuta, che lo attirava e lo ammaliava particolarmente.
Forse la spensieratezza, forse la bontà.
Un breve dialogo, privo di presentazioni, e il giovane scese dal suo cavallo per sedersi sull'erba, affianco ai boccoli scuri della solare piccola donna. Le mostrò la sua chitarra, raccontò le sue avventure, la sua storia. Lei lo ascoltò con partecipazione e mente aperta, senza giudicare niente e nessuno. Ma si fece subito sera, e al tramonto la donnina dovette tornare alla sua dimora. Il cavaliere la salutò con eleganza e la guardò correre via.. E’ chiaro, tuttavia, che si rivedranno.
Passò del tempo, e la principessa si accorse sempre più dell'assenza del marito. C'era ma non c'era, e il tutto andava avanti per inerzia e apparenza ai sudditi. Semplicemente, non aveva mai avuto ragione di interrompere il matrimonio.
Inoltre, ascoltando le avventure dello sconosciuto, la donna si accorse che la sua vita era piatta e scialba, che non si accontentava più della sua tranquillità. Ma sarebbe stato disdicevole, per una futura regina, un divorzio affrettato - preferì pensarci con calma.
In fondo, il vento una volta le sussurrò che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo.
Nel frattempo incontrò più spesso il cavaliere, sempre nel bosco, sempre alle radici dello stesso albero, quasi fosse una colonna di una piazza a caso.
Lui le mostrò cartine dei suoi viaggi, le raccontò di un popolo lontano. Cantarono canzoni accompagnate dalla sua vecchia chitarra, lessero poesie. C'era un'armonia che nessuno dei due aveva mai trovato prima.
Ma la principessa era ancora legata al marito, passarono dei mesi prima che lei facesse il passo decisivo. Quando si è deboli si ha bisogno di certezze, e il tempo spesso aiuta.
In quei mesi, però, capitò che il marito partisse per qualche giorno - la damigella sua sposa sapeva bene della presenza di un'altra donna, là dove era diretto.
Fu in quel periodo che tra i due sconosciuti successe qualcosa.
Un bacio dal sapore agrodolce, due piccole parole forti e forse esagerate, tante risate spensierate e allegre. In quel tempo, il cavaliere conobbe davvero la principessa: lei gli aprì le porte del suo mondo fiabesco, una volta lo condusse anche nel suo castello.
Ma lo sposo tornò, così come era previsto, e si arrivò alla resa dei conti.
Crollò a questo punto la stabilità del mondo della piccola donna. L'aveva voluto lei, sì, ma ci fu ugualmente un momento di confusione generale, e per questo lei e il cavaliere non si videro per qualche tempo.
Finché, un bel dì, ricominciarono a frequentarsi, tornando sotto quell'albero nel bosco. Passava così, rapidamente, il tempo (i giorni pesano se sono vuoti, quei giorni invece volarono leggeri).
Ma come può un guerriero restare intrappolato da un amore fugace?
Partì, con la certezza che avrebbe voltato pagina senza fatica.
Cercò dunque di passare oltre, come faceva sempre, con le sue avventure, riprendendo il viaggio. Ma, questa volta, quest'avventura non l'aveva vissuta da solo, non spettava solo a lui decidere cosa dimenticare e cosa mantenere intatto.
Lei non aveva alcuna intenzione di passare oltre o di dimenticare qualcosa - neanche il più piccolo dettaglio doveva essere scordato. Lo seguì. Gli scrisse lettere su lettere, torturandolo di ricordi che lui cercava di affogare nel rosso scuro e buio del vino, superando quel che era stato e andando alla ricerca di una nuova impresa, degna delle precedenti. Tentando di fuggire. E fuggiva, fuggiva. Scappò lontano. Ma non importa dove dormì quella notte o quanto lontano scappasse.. Tornò.
Dopo qualche tempo, dopo più di un mese, tornò e lei sapeva che sarebbe tornato. La trovò lì, ad aspettarlo, pronta a stringerlo e a farsi stringere di nuovo. Scese dal suo cavallo pece e la guardò negli occhi, come se nulla fosse successo, come se quei giorni gravi e lenti non fossero esistiti. Sicuramente vissero felici e contenti. Ma dopo un lungo tempo sereno, dopo notti insieme, dopo tante carezze e un po' di passione, dopo risate e discussioni, dopo passeggiate e serate, il tempo tornò a chiamare il cavaliere solitario, a distoglierlo da tutto ciò che è futile e, forse, a destarlo da sentimenti falsi.
Lo vide, la sua dama, dalla finestra salire a cavallo e uscire dai cancelli; urlò e lo chiamò, chiedendo perché, il motivo di tutto questo.
In fondo era mio diritto conoscere la ragione della mia stessa solitudine.
Tuttavia non ricevetti alcuna risposta. La decisione era stata già presa, in mia assenza, e nulla può frenare la determinazione di un guerriero che ha sempre vissuto da solo e che non ha mai dovuto discutere né condividere con qualcuno le sue scelte.
Semplicemente, fa quello che vuole fare.
Così il vento si riprese il suo uomo, e io non potei far altro che guardarlo sparire nell'orizzonte.

Ma quando arriva il vento a scompigliarmi, ancora una volta, i capelli e le vesti, io sento il suo profumo a scompigliarmi, ancora una volta, i pensieri e i ricordi.

giovedì 20 novembre 2008

Quattro.

Sogno, vinile e passato.
Basta. Adesso basta.
Non ci vuole tanto, in fondo.
Non tanto tempo, almeno. Ma sicuramente tanto coraggio.
Prendo il disco. Dov’è finita la tecnologia? Prendi un cd, o l’iPod: sarebbe più semplice. No. Io voglio il vinile. Quello che ho comprato pensando a lui. A lui che adesso non mi vuole. A lui che non mi perdonerà. A lui che non tornerà. Ma non importa. Adesso ho solo voglia di mandare affanculo tutto. Tutto e tutti. Dai, metti su il disco. Il coltello affianco al giradischi. Dove hai preso tutto questo coraggio? Non l’hai mai avuto. Da dove vien fuori? Chi se ne frega. Affanculo. Metti la puntina sul vinile nero. Fai girare il piatto. Gira, gira, gira. Perché quando il sangue non scorrerà più nelle tue vene, quando sarà tutto uscito e non potrà più scorrere, in quel momento il vinile continuerà a girare. E a suonare. Gli U2. Ah, quanto odio gli U2. Ma lui No. E quando il disco continuerà a girare, io non ci sarò più. E’ bene, dunque, che sia qualcosa che piaccia a loro. Loro che lo sentiranno quando ormai sarà tardi. Loro che ci saranno quando il disco continuerà a girare. Loro che sono la causa di tutto questo. Comincia la musica. Ah.. Questo brano. Quanti ricordi. Era un umido e freddo giorno di Dicembre.. Anche se oggi è ottobre. Non importa. Affanculo.
L’importante è porre un termine a tutto questo…
Termine posto.
Termine deciso.
Termine arrivato.
Il sangue comincia a scorrere.
So long.. This love won’t let me go. Oh, sì, invece. Quanto scommetti che questo amore mi lascerà andare? Mi accascio a terra. La schiena contro il letto. Ora basta aspettare. Il dolore mi trafigge tutta, le lacrime cominciano a scorrere. Lacrime negli occhi e sangue sulle mani. Forse è solo questo che volevano.
Qualcuno spalanca la porta della mia camera. Devo aver lasciato il portone aperto. Amici. Due amici qui, a cercarmi. Mi vedono accasciata a terra, piangente. Notano le lacrime, non notano il sangue.
“Lucy! Ma che stai facendo?”
“Muoio.”
Ecco, ora notano il rosso sui miei polsi.. Sento che Sam, dietro, trattiene il respiro.
“Ma sei scema? Ma perché?!”
Rido.
Rido, rido e rido. Così voglio che finisca la mia vita. In una risata. Forse la più brutta, sicuramente l’ultima, basta che sia una risata.
Ma mentre Dan è qui che cerca di svegliarmi, che cerca di farmi ragionare e di capire il motivo di tutto questo, Sam di là chiamava qualcuno. Non so chi. Ma chi se ne frega. Affanculo.
“Cazzo, Lucy! Perché ridi?! Cosa c’è da ridere?!”
“Ma io non sto ridendo. Io sto piangendo.”
“Ma allo stesso tempo ridi! Sorridi! Che senso ha?!”
“Rido.. Sì. Non la senti la musica?”
“La musica.. Sì. Vuoi che la fermi?”
“NO! No, non farlo. Ti prego.”
Quel primo no sembrava uno scatto di vita, accasciata a terra mi ero mossa violentemente per insistere sulla musica e sulla sua presenza. Doveva esserci. Faceva parte del gioco.
"Ma perché, Lucy? Spiegami il motivo, almeno!”
“Perché mi chiedi il motivo di tutto questo? Cosa importa? Sto morendo.”
“No, tu non morirai. Non lo voglio, non lo vuole nessuno.”
Rido. Di nuovo, rido di nuovo, perché voglio morire così. Con la musica di sottofondo..
“Lucy, e il dolore? La tua paura per il dolore? Non l’avresti mai fatto. Non senti male?”
“Certo, Dan. Sto male. Sto piangendo, non vedi? Mi fa male tutto. Ma sto facendo la felicità di tante persone in questo momento. Ahahah.. Affanculo. Volevano questo, no? Affanculo.”
Arriva qualcun altro. Entra, ma sta sulla soglia della porta. Non so chi è. Non presto attenzione a questo. Entra anche Sam, dicendo che ha chiamato l’ambulanza. Ma a che serve?
“Perché l’hai chiamata? Tanto non arriverà.”
“Perché dici così?”
“Perché è così. Arriverà troppo tardi. Perché questo paese fa schifo, e perché a nessuno interessa salvarmi. E poi.. Fanculo.”
Seduta a terra, la schiena appoggiata al letto, le braccia pure. I polsi rossi, il copriletto macchiato, il materasso si sta impregnando di sangue.
Wow.
Arrivano altre persone, arrivano correndo, arrivano ansimando, arrivano spaventate.
Arrivano con la faccia di sapere cosa stanno per vedere, ma una volta arrivate assumono un’espressione attonita, stupita.
Cosa si aspettavano? Che mi stessi uccidendo su di un letto di rose?
Ormai la seconda traccia è cominciata. Amore.. Salvami. Ahahah.. Che buffo. Amore.. Esistesse.
E poi arriva lui, lui che ha provocato tutto questo, lui che da qualche tempo non mi saluta e non mi parla, lui che da qualche tempo incrocia il mio sguardo e nasconde il suo, lui che mi volta le spalle, lui che se ne va quando io arrivo, lui che mi vede e si gira schifato. Ma ora No. Ora ha la paura negli occhi. è allarmato, si fa spazio tra la gente sulla soglia della porta per entrare. La paura negli occhi, ma il coraggio di avvicinarsi a me.
Dan si sposta.
Ora siamo solo io e lui. Tutti gli altri dietro non importano.
Mi guarda.
Yeah, I'm here, without a name,
In the palace of my shame.
I said.. Love, rescue me.
“Ma cosa fai, Lucy?
Che cazzo stai facendo?"
“Muoio.”
“E perché?”
“Perché.. Oh, Bob. Non lo so perché.”
Sì, invece, lo so. Ma non riuscirò a dirglielo. Non ce la faccio. Il coraggio di uccidersi.. Ma il coraggio di confessare qualcosa No. Buffo.
“Sì che lo sai.”
“Forse lo so.”
“Lucy. Sicuramente lo sai.”
“Allora lo sai anche tu.”
Sì, lo sa anche lui. E’ chiaro.
“Ti ho pensato in questo periodo. Mi sei mancata.”
“No, non è vero.”
“Sì che è vero.”
“Non mentirmi, Bob. Non mi serve. Non adesso che sto cercando di liberarmi dal dolore.”
“Non ti sto mentendo. Non ti ho mai mentito.”
“Se fosse vero, se fosse così, ora io non sarei qui. Non sarei arrivata a questo.”
Mi bacia. Ma io resto immobile. Che senso ha?
“Perché adesso? Perché adesso che sto morendo? Perché non prima?”
Qualche lacrima scende dai suoi occhi. E io mi sento meno sola. Piange. No, non voglio vederlo piangere. Non voglio ricordarlo così. Voglio tenere un ricordo diverso di lui. Voglio ricordarlo come sorrideva, come sorrideva solo a me. Con il suo sorriso dolce, non con la risata aperta che fa con gli amici. Con il sorriso appena accennato che faceva solo a me. Guardandomi negli occhi. Ecco, così lo voglio ricordare. Guardandomi negli occhi. Ma ora.. Ora piange. Guardando da un’altra parte.
Gli sfioro il viso. Il naso, la guancia, quelle labbra. Sotto il mento la mia mano, lo tiro su, faccio in modo che mi guardi negli occhi. Il sangue gocciola un po’ sulla spalla della sua camicia.
“Ehi.. Tranquillo. Non fa niente.”
Sorrido. Lui non sa cosa dire.
Poi mi sento male. Improvvisamente. Chiudo gli occhi, appoggio la testa sul materasso. Da lì in poi sono solo suoni confusi, voci tristi e lontane, quasi nessun’immagine. Un’ambulanza che si ferma sotto casa, qualcuno che mi prende per il piedi e per le braccia, mi appoggia su qualcosa - una barella, fredda e asciutta. Forse preferivo il mio tappeto imbrattato di lacrime e sangue, era caldo, quasi accogliente. La sua mano lascia la mia, e in breve tempo, l’aria aperta. Lo so che è la via dove abito, lo sento.
E il sole.
Il sole splende fuori.
Ma non m’importa.
Affanculo.
I've conquered my past.
The future is here at last.
I stand at the entrance
to a new world I can see.
The ruins to the right of me
will soon have lost sight of me.
Love.. rescue me.

No reason why

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