Life is a laugh.


Words are flowing out like endless rain into a paper cup,
they slither while they pass, they slip away across the universe.

Thoughts meander like a restless wind inside a letter box,
they tumble blindly as they make their way across the universe.

In the depth of winter, I finally learned that there within me lay an invincible summer.

lunedì 29 giugno 2009

Ventuno.

Something.
E’ sempre lì.
Cioè, non sempre, spesso. E’ spesso lì. Lì.. qui.
Insomma, c’è una donna seduta sul gradino davanti alla banca sotto casa mia. E piange. La vedo di frequente uscendo di casa verso le 6 o le 7 di sera. Pensandoci, l’orario varia. L’unica cosa che è sempre uguale - non sempre, spesso, cioè, di frequente, insomma: quando vedo la donna - è il tramonto. Dunque, cambia a seconda della stagione, come fa il tramonto, l’orario di Miss Pianto. Con il motorino, uno scooter scuro, si siede sul gradino e piange, senza neanche togliersi il casco, piange disperatamente.
Secondo me ha avuto un incidente proprio qui, qui sotto. Ma lei non si è fatta male. E’ semplicemente accaduto che il motorino è scivolato e la signora è caduta. Ma Miss Pianto non era da sola: lei era dietro e abbracciava amorevolmente il guidatore. Il rapporto tra la donna e colui che guidava era stretto; molto stretto, troppo. Lei era sposata con un uomo ben piazzato - come si suol dire - un uomo maturo e responsabile. Erano sposati da anni, e lui aveva un buon posto di lavoro, tale che lei potesse non lavorare, dedicandosi solo a ciò che amava. Verosimilmente il marito era tranquillizzato da questa affermazione della moglie. “Cosa farai oggi cara?” “Non so, mi dedicherò a ciò che amo, mi rilasserò, mi divertirò e ti preparerò una cena squisita!”. In effetti la cena squisita c’era, quando il marito tornava a casa. Così lui si era convinto - da solo - che la passione della moglie fosse la cucina. In realtà la passione della donna era un uomo, quello che guidava il motorino. Il motorino lo usava sempre Miss Pianto, ma era intestato al suo sposo, che in casa gestiva tutto il materiale legale e finanziario. Dunque il motorino scivolò, e la coppia illegittima finì sulla strada, in mezzo alla carreggiata. Il traffico incasinato delle 7 di sera non fece in tempo a fermarsi, e un camion investì il guidatore. Lei ne uscì immune, invece. E al dolore di questa donna, soffocato per presenza del marito, si aggiunse l’obbligo di inventare un giustificazione, e in fretta, per la presenza dell’uomo sul motorino. Dopo aver creato insulse scuse, nascose nel silenzio la sua sofferenza, per non insospettire il marito. Ma smise di cucinare. E così, ogni sera, al tramonto, non avendo nulla da fare e rifiutandosi di cucinare l‘usuale cenetta squisita, di nascosto dallo sposo viene qui, sul luogo dell’incidente, e piange l’amato, sfogando tra le lacrime la sua ira e la sua sfortuna, senza togliere il casco perché le salvò la vita, e guardando il motorino su cui non molto tempo prima sedeva l’amore.
Non so dirvi cosa di questa storia sia vero. Anzi, so diverlo, in realtà. Niente di tutto questo è reale. Nulla.
Questa è la mia fantasia, la mia mente che vola, il mio cervello che lavora troppo su donne che piangono, sul gradino davanti alla banca, sotto casa mia.



venerdì 26 giugno 2009

Venti.

Dialogo surreale.
(pensato qualche tempo fa)
▫ Ore?
▪ 12.32
▫ Mi pensi mai?
▪ Chi?
▫ Tu. Tu, mi pensi?
▪ Chi? Io?
▫ Tu?
▪ Io penso a chi?
▫ Non lo so, dovresti dirmelo tu. A chi pensi?
▪ E tu?
▫ A te.
▪ A te?
▫ A me?
▪ No. A te.
▫ A me?
▪ Sì, a te.
▫ Ma..
▪ Quanto tempo è passato?
▫ Da quando?
▪ Dagli ultimi sospiri?
▫ Il 20 febbraio, no?
▪ Sì.
▫ Oggi che giorno è?
▪ Oggi?
▫ Sì, oggi.
▪ Oggi è il giorno dopo ieri, il giorno prima di domani.
▫ Ma la data?
▪ Cosa importa?
▫ 20 Maggio. 3 mesi.
▪ Quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi.
▪ Sì, ma quanto tempo è passato?
▫ 3 mesi, ho detto. 3 mesi.
▪ Sì ma non è sempre uguale. Alcuni giorni scivolano, altri scappano, altri ancora arrivano e basta.
▫ Dunque? Quanto tempo credi che sia passato in questi 3 mesi?
▪ Direi una vita.
▫ Una vita?
▪ La vita di questi 3 mesi.
▫ Non capisco.
▪ Non capisci. Tu guardi le date.
▫ E allora?
▪ Guardi l'orologio.
▫ Tu no?
▪ Il tempo non scorre sull'orologio.
▫ ...
▪ Ti scorre addosso. Capisci?
▫ Forse.
▪ Quanto ci hai messo a capire?
▫ Non so. Che ore sono adesso?
▪ E cosa importa questo?
▫ Mhm.
▪ Quanto tempo ci hai messo a capire.
▫ Ore.
▪ Ore.
▫ No, vero? Saranno passati 5 minuti.
▪ Se tu le senti ore sono ore.
▫ Ma che ore sono, adesso?
▪ 12.45.
▫ Vedi che se non ho l'orologio, sbaglio?
▪ Non è vero che sbagli. Chi è nel giusto? Tu o l'orologio?
▫ Ma l'orologio è meccanico, non può sbagliare, non può illudersi.
▪ Credi più all'orologio che a te stesso.
▫ Sono solo 13 minuti passati lentamente.
▪ Per te sono ore. Sono passati 13 minuti e tu hai vissuto delle ore. Sbaglio?
▫ No.
▪ Allora hai capito.
▫ Sono passati 13 minuti ma io ho vissuto delle ore?
▪ No?
▫ Bel risparmio.




sabato 20 giugno 2009

Diciannove.

Keine lust.
Non voglio l'estate.
Quest'anno proprio non mi va.
Non ne ho voglia.

Lasciatemi la primavera.
Per favore! La primavera!



sabato 6 giugno 2009

Diciotto.

S. Beckett
1

why not merely the despaired of
occasion of
wordshed

is it not better abort than be barren

the hours after you are gone are so leaden
they will always start dragging too soon
the grapples clawing blindly the bed of want
bringing up the bones the old loves
sockets filled once with eyes like yours
all always is it better too soon than never
the black want splashing their faces
saying again nine days never floated the loved
nor nine months
nor nine lives

2

saying again
if you do not teach me I shall not learn
saying again there is a last
even of last times
last times of begging
last times of loving
of knowing not knowing pretending
a last even of last times of saying
if you do not love me I shall not be loved
if I do not love you I shall not love

the churn of stale words in the heart again
love love love thud of the old plunger
pestling the unalterable
whey of words

terrified again
of not loving
of loving and not you
of being loved and not by you
of knowing not knowing pretending
pretending

I and all the others that will love you
if they love you

3

unless they love you



mercoledì 3 giugno 2009

Diciassette.

Si vive di ricordi, signori, e di giochi!
Giochi e ricordi, giochi e ricordi, giochi e ricordi.
Qual è tra le due cose la più seria? Di cosa parlate, voi, quando parlate al passato, quando dite “noi”? Parlate di giochi, o di ricordi? Ricordi? Siete sicuro di voler ricordare? Mio adorato Mario Jemenez, mi avete avuta come nella mia vita nessuno mi ha mai avuta. Nessuno, e mai. Ma c’era qualcosa nel vostro dichiararvi mio che sapeva di amaro, pur profumando di viola, pur essendo in un certo qual modo sincero. Sincero? Qualche parola ripetuta all’infinito, qualche parola che mi fece poi ridere nella disperazione, qualche parola che se riletta adesso fa ancora tremare - nonostante il tempo che scorre implacabile e mai stanco, nonostante le esperienze che si susseguono senza pausa, nonostante la vita che continua.
Sempre.
Mai.
Dove il sempre intende un infinito relativo alla durata, un infinito dall’inizio alla fine, un infinito con una fine effettiva, un sempre per modo di dire; e il mai, allo stesso modo, si riferisce a quel tempo, a quel tempo ben determinato, a quei giorni scappati. Mai e sempre sono passati, sono finiti, sono arrivati. E giunti al termine di questa storia, che è stata e tutti si comportano come se non fosse, che è passata e allo stesso tempo No. Che è finita come è finita, che è finita perché è finita, che è finita quando è finita, che è finita se è finita, che è finita per volere di qualcuno che, allora, se non sono io e non siete voi, non ho mai conosciuto nè ho mai veduto. Ma adoro ricordare, e voi sapete che sono una nostalgica; adoro ricordare senza malinconia, adoro ricordare con sorrisi e risate, e non pensare a come sono stata male dopo, ma pensare a come stavo bene in quel momento. In quel che momento che ricordo.
Ricordo, ad esempio, che una volta mi accompagnaste a casa. Forse voi avete dimenticato - al contrario di me, voi adorate scordare - ma era sul finire della primavera, mentre l’estate si avvicinava vertiginosamente, una mostro avanzante. Più o meno come oggi; sì, un giorno come oggi. Mi accompagnaste a casa, dicevo, e mi diceste, tra labbra e sorrisi, che mi amavate, e lo diceste ripetendo il mio nome, lo diceste sussurrandolo, così che nessuno potesse rubarvi quelle parole, e neanche il vento, né le stelle invidiose le sentirono, furono solo mie, in quel momento furono solo per me. Non so se lo diceste con leggerezza o se foste serio, ma mi piace pensare che mi amaste davvero e profondamente, amo sognare cosa sarebbe stato, come sarebbe stato, cosa sarebbe adesso ciò che non è e non sarà. Non so se poi l’amaro che sentii sulla punta della vostra lingua fosse il sapore che fumo e alcol lasciano sulla vita, o se magari fosse qualcosa di più grave - un tocco di falsità poggiato sul rosso caldo.
Ricordate quando perdevate il controllo di voi stessi, quando non riuscivate più a fermarvi? Qualche volta rimaneste travolti anche voi, inutile nasconderlo ancora. O quando ancora non ci si esprimeva, ricordate che buffo? Ora come ora mi fa sorridere il pensiero di quei giorni in cui non si era nascosti ma neanche mostrati. Quella sera in cui mi suonaste nel caos, ma io sentii lo stesso il vibrare delle corde e le note della vostra voce, nonostante i rumori chiassosi dietro di noi. La stessa sera in cui vi dichiaraste, ricordate? Mi sembra ieri, a ripensarci. Di fatto, tutto questo è lungi da queste mie parole, e forse sarebbe ora di salutarsi una volta per tutte. Come quando vi chiesi un ultimo bacio; ricordo anche questo! Non so se presa dalla disperazione di non sentirvi più o semplicemente desiderosa di un ultimo schiocco, vi chiesi di baciarmi ancora una volta - quando mai mi venne in mente una simile proposta, con le lacrime che mi offuscavano più la mente che gli occhi!
Suvvia, non parlerò oltre, lo prometto. Ma, mio signore, io odio gli addii, e voi lo sapete bene - se mi conoscete ancora come mi conosceste.
Io vi ricorderò perché amo ricordare, amo i ricordi e li ho sempre amati, ho amato voi e così sempre vi ricorderò. Se voi preferite dimenticare, come so che è, cercherò di impedirvelo, con tutte le mie forze, con tutto ciò che posso. Non posso molto, è vero, ma adopererò tutto ciò che è in mano mia per farvi ricordare, per rendermi indelebile ai vostri occhi di cielo.
Le parole impresse sulla rocca del tempo con il mio sguardo - e con la vostra penna, mio amore - sono svanite come se la roccia si fosse sgretolata, diventando un’inutile mucchio di granelli di sabbia; spiaggia baciata dal mare, come solo l’amore può fare. Questo è finito, come sempre finisce tutto, questo tempo è scappato e voi ora scomparirete, forse per sempre, a questi occhi di foglia matura.
Fate come desiderate, come avete sempre agito: fate quel che vi sentite. E magari prima o poi capirò le vostre parole intricate, i vostri brindisi complicati alla salute di non so chi.
Vi saluto, io che in quel tempo fui per sempre vostra, ma spero che ci incontreremo ancora, in una qualche stazione, o sulla riva di un qualche fiume.
Beatriz



No reason why

La mia foto
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